10/04/17

La "lunga battaglia contro la Bibbia"


La "lunga battaglia contro la Bibbia" sempre rivendicata da Fagioli[1].

Tredici dicembre duemilatredici. Nel corso del dibattito successivo alla presentazione di un bel libro su Gilgamesh, figura significativa della mitologia mesopotamica, Massimo Fagioli e Franco D’Agostino - lo psichiatra e l’assirologo - spaziarono con passionalità sui tempi, i temi, le immagini, i pensieri di culture millenarie e sulle enormi implicazioni del pensiero religioso. Questo è stato il punto di partenza di una ricerca complessa e molto coinvolgente per chi volesse approfondire una frase fondamentale del quarto libro di Fagioli, dove si specifica, contrariamente a quanto proposto dalla tradizione marxista, che «l’alienazione religiosa è a monte, non a valle delle altre alienazioni (...) è alla nascita dell’uomo e soltanto un rapporto interumano sessuato può far superare al neonato il germe della sua alienazione»[2].
Alienazione individuata dallo psichiatra - in netta opposizione al freudismo - nella dinamica della nascita: «L’io esiste fin dal principio e deve svilupparsi». Affermazione che indica nella realtà del neonato non un vuoto originario, ma quella fisiologica carenza che deve essere colmata nel rapporto; una incompletezza dell’essere necessaria per la dinamica del desiderio la cui soddisfazione è, quindi, il motore delle possibilità trasformative umane. Tempo e rapporti soddisfacenti sono necessari perché la piena realizzazione giunga a compimento, ma essa è già, in potenza, nella sua nascita “sana” che è fondamento poi di ogni percorso psicoterapeutico che si ponga l’obiettivo di curare la malattia provocata da rapporti deludenti e dalla propria reazione pulsionale di anaffettività contro di essi.
La “lunga battaglia contro la bibbia”, da sempre rivendicata da Fagioli e ribadita ancora quel 13 dicembre, si fondava sulla sua basilare avversione per la formulazione nota come “peccato originale”, struttura portante della concettualizzazione cristiana che «intacca la natura umana», trasmessa di generazione in generazione «in una condizione decaduta», come recita ancora oggi il catechismo della Chiesa cattolica. Condizione risolta non tanto dalla sterile ritualità del battesimo, quanto dalla “morte” del corpo, cui il credente è chiamato ad imitatio Christi, per poter risorgere alla vera vita che sarebbe solo quella dello spirito; annullamento che ha costituito la fonte della plurisecolare sessuofobia cristiana, a cui la donna ha pagato l’altissimo prezzo della propria demonizzazione.
Annullamento del corpo non condiviso, peraltro, dagli altri due monoteismi - ebraismo ed islàm - che indicano nelle “norme di purità”, strettamente legate ad attività corporee naturali, un elemento essenziale del comportamento corretto (ortoprassi) del praticante.
Il termine che definisce la falsa verità del cristianesimo è allora quello di mancanza originaria, che è ideologia, non verità umana, variamente modulata poi dalle culture “alte”. Un originario minus che rende concettualmente improponibile la cura della malattia mentale: se è così che si nasce, che altro fare se non adattarsi alla realtà di perenne “controllo” cosciente di quel mostro interno impregnato di inestinguibile tendenza al male? L’inconscio perverso ha una lunga storia. E adattarsi non è solo la logica (reazionaria) della teologia, lo è anche di tanta psicanalisi, di tanta filosofia.
Ma il tema su cui si era orientato il dibattito del 13 dicembre andava oltre il concetto di colpa per toccare la questione clou di ogni riflessione sul pensiero religioso: qual è stato il momento storico in cui le mille figure degli déi immanenti del politesimo furono soppiantate dall’ingombrante dio unico, assoluto e trascendente, che conosciamo?
La domanda apparentemente ingenua dello psichiatra allo storico dell’antichità, su chi avesse “inventato” il monoteismo, rivelava - oltre alla sua inesauribile curiosità per tutta la storia del pensiero umano - la portata tutt’altro che scontata di una ricerca estremamente complessa. Se la vulgata diffusa indica nella Bibbia ebraica il momento primo della sua formulazione, in realtà una minoranza agguerrita di studiosi afferma che in nessuna pagina del testo biblico c’è quel monoteismo che ci si aspetterebbe. Al più una monolatrìa: il culto per un unico oggetto, pur nella consapevolezza dell’esistenza di altri oggetti di culto.
Per indagare sulle vere origini del monoteismo è stato allora necessario chiarire il concetto di spirito assoluto che Carlo Enzo, il biblista controcorrente citato proprio da Fagioli nel corso dell’incontro, aveva indicato nel Theós greco, negando che l’Elohim biblico ne condividesse il senso[3]. E questo fu l’approfondimento successivo; un’analisi accurata dei testi dell’esegeta veneziano che mi portò a rispondere, con un saggio pubblicato ne Il sogno della farfalla[4], all’inaspettata quanto gradita sollecitazione di Massimo Fagioli.
Riproposi poi direttamente anche a Carlo Enzo l’interrogativo del 13 dicembre sulle origini del monoteismo e la sua risposta lapidaria fu pubblicata proprio su Left[5]: «esso si forma negli ambiti della filosofia e della teologia estranei alla mentalità biblica». Non era quindi nel testo biblico che andava cercata la prima affermazione monoteistica quanto in secoli successivi, forse negli ambienti minoritari del giudaismo ellenizzato, dove apparvero i primi cenni, labili e contraddittori, di una creatio ex nihilo che indicherebbe la presunta creatività dello spirito definito assoluto in quanto dotato di vita propria, separata ed autonoma dall’esistente. Pensare delirantemente un nulla originario costituì l’idea nuova capace di immaginare astrattamente un ente trascendente la materia, concetto che solo nel cristianesimo del II secolo ebbe poi la strutturazione dogmatica destinata a imporsi e a svilupparsi nelle imperscrutabili speculazioni di mistici medievali come Meister Eckhart: Dio crea dal nulla, ma è «Quadruplice è il senso della frase, dice Eckhart, quadruplice il senso del nulla. Il primo, quello decisivo e più dirompente, identifica Dio con il nulla (...) Il secondo, più ortodosso, è che chi vede Dio non vede “null’altro”. Il terzo, che ne consegue, è che vedere null’altro che Dio significa vedere null’altro che Dio in qualsiasi cosa. Il quarto è che qualsiasi cosa, dunque, è luogo del nulla, è nulla»[6] .
Ogni cosa dunque è nulla, ma come è stato detto “l’annullamento del mondo è annullamento di sé[7]: questa è la tragica essenza del monoteismo.
Il nulla, quindi, la cui storia è stata approfondita in altra occasione[8], a differenza dei politeismi che rimandano a ipostasi di qualità umane reali personificate in enti simbolici, è irrealtà che diventa paradigma essenziale per la definizione del dio unico: l’invenzione astratta di una mente impazzita per la pulsione di annullamento che impone di credere all’inesistente piuttosto che pensare l’esistente. È logico che fosse poi annoverato da Fagioli fra le quattro piaghe che nella storia hanno devastato la ricerca sulla realtà umana. Più esattamente l’annullamento è la madre di tutte le piaghe: la causa prima di ogni malattia mentale. Ritorna, articolato diversamente, il tema dell’inconciliabile, radicale differenza tra la mancanza originaria di ogni ontologia negativa e la fisiologica carenza della nascita che Fagioli ha puntualizzato teoricamente regalando la possibilità di un’infanzia felice, libera di svilupparsi nella sua sana naturalità e non più soggetta alla violenta negazione della nascita. Una geniale rivoluzione del pensiero che fondando una nuova antropologia sovverte millenari assetti culturali e sociali ritenuti intoccabili dai freddi gestori della cultura dominante.




[1] Pubblicato su Left, 01.04.2017. Modificato il 09.04.2017.
[2] M. Fagioli (1980), Bambino donna e trasformazione dell’uomo, L’asino d’oro, 2013.
[3] «...nella cultura ebraica la parola Dio non esiste. Esiste invece la parola "Elohim" che faceva tutt'uno con il popolo (...) Che cos'è l'Elohim della Torah se non il popolo stesso che si è dato la sua costituzione, le sue leggi, i suoi imperativi morali?». Quindi il racconto della creazione non riguarda né l'uomo né la natura? «Creazione qui non significa creare dal nulla, come appunto potrebbe fare un Dio. Creare è progettare un mondo nuovo, un uomo nuovo». Ma dire che ogni popolo ha il suo Elohim non significa limitarne l'assoluto? «L'obiezione avrebbe senso se traducessimo "Elohim" con "Theos", giacché Theos è l'assoluto. Ma l'Elohim non è l'assoluto», A. Gnoli, Rileggere la Bibbia, “La Repubblica”, 28.12.2012,
Cfr. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/28/rileggere-la-bibbia.html
[4] Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, “Il sogno della farfalla” n. 2/2014.
[5] F. Della Pergola, La Bibbia svelata, intervista a C. Enzo, “Left” n. 22/2014.
[6] S. Givone, Storia del nulla, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 56.
[7] A. Masini, intervento al VI Congresso nazionale della Società italiana di psicopatologia.
[8] Cfr. Il Dio del Nulla in www.academia.edu/26596299/Il_Dio_del_Nulla

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