14/09/10

Donna e impurità nell'ebraismo e dintorni


Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come la luna, fulgida come il sole,
terribile come schiere a vessilli spiegati ?

(Cantico dei Cantici, V, 10)
 


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Che la cultura ebraica sia fondamentalmente patriarcale [1] non è certo una novità ed è ampiamente condivisibile: “dal momento che questa era una cultura in cui il sapere era una delle principali forme del potere, l’esclusione delle donne dalla produzione dei testi (…) evidenziava la loro esclusione dal potere[2]. Ma che sia stata anche una cultura esclusivamente misogina e sessuofobica, come alcuni affermano, è forse più discutibile. Vari studi infatti, pur non nascondendo zone di ambivalenza, mettono in luce aspetti sui quali è opportuno approfondire la ricerca; in alcuni passi del Talmud si evidenzia una dimensione certo non tenera con il femminile [3], ma in altri emergono sprazzi di una cultura che non considera affatto la donna inferiore all’uomo, come nel detto particolarmente significativo: “Dio ha donato alla donna più intelligenza che all’uomo[4].

1 - La Lettera sulla Santità

L’interpretazione della sessualità nell’ebraismo merita una specifica riflessione e, in particolare, merita attenzione quella della Qabbalah [5] medievale che può essere un valido punto di partenza per un interessante viaggio nel tempo all’interno di una cultura millenaria, pur senza avere alcuna pretesa di affrontare in modo esaustivo il pensiero ebraico. E' nell' ambito culturale cabalistico che troviamo un breve manoscritto del XIII secolo, attribuito al giudeo-castigliano Yosef Giqatilla, denominato Iggeret ha-Qodesh (Lettera sulla Santità)
[6], che interpreta il rapporto carnale fra uomo e donna come una possibilità di incontro tra umano e divino:

…perciò, ogniqualvolta ti unisci carnalmente alla tua donna, non comportarti con leggerezza, non dire cose futili e illusorie, non essere troppo spensierato con lei e non parlare più di tanto di cose da nulla (...) dovrai dapprima invitarla con parole toccanti e distensive, dovrai metterla di buon umore al fine di legare la tua mente alla sua e la tua intenzione alla sua, dirle parole per un verso invitanti al desiderio, all'unione carnale, all'amore, alla voluttà e alla passione, e per un altro che l'attirino verso il timore del cielo, verso la pietà e la condotta pudica (...) nel possederla, non farlo contro la volontà di lei, e non usarle violenza, giacché se l'unione carnale avviene senza tanta passione, senza amore né desiderio, la Shekinah non vi assiste (...) parimenti non è opportuno possedere una donna mentre questa dorme, perché così non sussisterebbe mutuo accordo e il pensiero di lei non sarebbe concorde con quello di lui[7].

Si dice che la Shekinah, la Presenza divina [8], partecipa all’unione carnale in conseguenza di una visione in positivo della sessualità che poggia su una logica argomentazione:

Se dicessimo che la congiunzione carnale è cosa oscena, ne deriverebbe che gli organi della copula sono organi della vergogna. Ma ecco che è stato il Signore benedetto a crearli (...) dunque come avrebbe potuto il Signore benedetto creare alcunché di malformato, osceno o difettoso ?[9].

Charles Mopsik, uno dei più raffinati studiosi della mistica ebraica, nel confrontare il pensiero della filosofia razionalista - e molto misogina - di Mosè Maimonide con quello della Qabbalah, chiarisce meglio i termini di questa interpretazione:

Conformemente alle sue categorie aristoteliche, Maimonide associa l’uomo alla forma e la donna alla materia; quest’ ultima è buona se e quando è dominata e plasmata dalla forma. E’ solo nella sua mascolinità che l’uomo è simile a Dio e non per la parte femminile della donna. Dunque l’imago Dei è riservata al maschio-forma, anche perché per Maimonide la donna-materia non ha cervello, mentre è solo per l’intelletto posseduto dall’uomo che egli è simile a Dio. In questo senso la donna nel rapporto sessuale non può esprimere alcun desiderio, poiché ciò equivarrebbe ad una grave insubordinazione e ribellione della materia contro la forma! Su questo punto, ossia la concezione del femminino, filosofia e Qabbalah si pongono agli antipodi[10].

Questo scontro culturale fra ambienti mistici e filosofici, che ripercorse una vicenda simile accaduta un secolo prima in ambito islamico, non fu esente da sviluppi importanti se alcuni affermano che il pensiero maimonideo: “…fu il seme da cui sbocciò il Trattato Teologico-Politico di Spinoza[11].

In ogni modo possiamo evidenziare un primo punto di confronto tra le correnti non sessuofobiche dell’ebraismo e il cristianesimo:
Nel mondo giudaico-apocalittico [12] e cristiano l’uomo si avvicina al divino tanto più quanto più si allontana dalla corporeità, mentre nel pensiero mistico ebraico l’unione sessuale, se realizzata nel modo giusto, rende partecipe l’essere umano dell’opera di creazione, esprime la sua immagine divina e ‘attrae’ il divino sulla terra…[13].

E’ sufficiente una conoscenza non specialistica dell’idea del sesso nella cristianità, per sapere quanto fosse lontana da essa l’interpretazione cabalistica; tesi confermata da Gershom Scholem, forse il maggiore studioso moderno della Qabbalah, che su questo tema si esprime con chiarezza: “L’idea dell’ascesi sessuale non è stata mai considerata dai mistici ebrei un valore religioso[14].

Nella visione ebraica della sessualità, così come nella cultura islamica [15], “la funzione sessuale in sé è una funzione sacra[16] e ben lontana dal ribrezzo di Papa Innocenzo III (forse il più potente Papa del medioevo, quello che con una mano benediceva Francesco d’Assisi e con l’altra sterminava gli Albigesi): “Chi non sa che il rapporto coniugale non avviene senza l’ardore della lussuria, senza il sudiciume del piacere, per cui il seme concepito viene insudiciato e rovinato ?” e, ancora, "l'atto sessuale è esso stesso così vergognoso da essere intrinsecamente malvagio" [17].
Né, pur sapendo di semplificare, si possono dimenticare le parole di Paolo di Tarso, alle origini della cristianità: “…le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (…) quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri…[18].

Al contrario nello Zohar [19], testo sacro per eccellenza della Qabbalah, si affermava “il vincolo dell’unione tra il maschio e la femmina è il segreto della vera fede[20], facendo seguito all’idea che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, che è Uno; e quando l’uomo può dirsi Uno? solo quando è unito alla donna:
“(Dio) colma di benedizioni solamente il luogo in cui il maschio e la femmina sono congiunti. La Scrittura dice, infatti: li benedisse e diede loro il nome di Adamo; non dice: lo benedisse e gli diede il nome di Adamo, in quanto Dio benedice soltanto quando il maschio e la femmina sono uniti. Il maschio da solo, fino a quando non è unito alla donna, non merita neanche il nome di uomo[21].

Questo pensiero medievale si fonda in buona misura sulla lettura della Creazione descritta dal primo capitolo del testo biblico che notoriamente è diverso dal secondo; basta infatti sfogliare una Bibbia per notare che esistono due versioni della Creazione: Genesi 1, “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” e Genesi 2 “…Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto (…) con la costola, che aveva tolta all'uomo, (creò) una donna…”.

La prima versione non parla della costola di Adamo, ma di una simultanea creazione dell’uomo e della donna, con lo stesso atto: fu dunque questo essere umano, un unico uomo/donna [22], ad essere chiamato ha-‘adam.
I mistici dello Zohar ‘leggevano’ perciò l’immagine del divino non nel singolo essere umano, ma nell’unione di uomo e donna della versione di Genesi 1, che sembrerebbe riconoscere al femminile pari dignità “di origine” rispetto al maschile o, quantomeno, che non sembra contemplare una gerarchia di valori tra l’una e l’altro.
Il doppio racconto dell’origine umana, sottovalutato perché la lettura cristiana ha sempre privilegiato il mito della ‘costola’ [23], parla di correnti di pensiero diverse, elaborate in periodi successivi e composte infine in un’unica raccolta.
Sono le fonti chiamate Jahwista, Elohista, Deuteronimista e Sacerdotale dalle classificazioni filologiche, descritte dalla cosiddetta Ipotesi Documentale [24].
In particolare Genesi 1 è attribuita alla fonte Sacerdotale e datata al VI sec. a.C., quindi posteriore, benché venga per prima nella sequenza del libro, di Genesi 2 attribuita al Jahwista (X-IX sec. a.C.).
Dalla differenza tra le due versioni nascerà il mito della "prima Eva", poi riconosciuta nella demoniaca Lilith [25].
Riprenderemo più avanti questo tema perché prima è necessario sviluppare con metodo, nel nostro cammino a ritroso nei secoli, la ricerca sull’interpretazione della sessualità nella cultura ebraica più antica per capire da dove poteva originare la visione in positivo del rapporto uomo-donna in alcuni ambiti mistici del giudaismo medievale.

2 - Un precetto talmudico

L’indagine si deve concentrare soprattutto
sul corpus culturale, dottrinale e giuridico del Talmud
[26] che raccolse secoli di tradizioni orali e che fu infine trascritto fra il I e il V secolo d.C. quando, a seguito della distruzione romana, si temette la totale perdita del patrimonio culturale ebraico.

E’ qui che troviamo un insieme di norme con valore giuridico
[27] che sovrintendono ai rapporti matrimoniali e che definiscono per un verso il periodo di astinenza sessuale derivante dall’impurità mestruale femminile (niddah) [28], dall’altro la frequenza dei rapporti intimi fra i coniugi, intesi esplicitamente come ‘soddisfazione erotica’ (onah).
Più avanti sarà affrontato anche il senso del concetto di “impuro” nella cultura ebraica antica e della sua progressiva deriva verso l'idea di male.
Ora osserviamo come in questo precetto si entri pedantemente nello specifico per definire quella che, a tutti gli effetti, sembra una banale normativa tesa a regolare i diritti e i doveri sessuali, così come ne esistono in tutte le culture. Nulla di nuovo, verrebbe da pensare, dal momento che ogni religione ha preteso per sé il diritto di definire i termini legittimi della sessualità che, secondo logica, dovrebbero riguardare unicamente gli esseri umani, adulti e consenzienti, coinvolti nel rapporto. In questo caso si entra nel merito della quantità minima di amplessi necessaria affinché il matrimonio sia ritenuto giuridicamente valido.

Le volte prescritte dalla Torah per adempiere ai propri doveri coniugali sono: per un uomo che non lavora, tutti i giorni; per i manovali, due volte la settimana; per i conduttori di somari, una volta la settimana; per i conduttori di cammelli, una volta al mese; per i marinai una volta ogni sei mesi[29].

E’ detto chiaramente che l’amplesso era un dovere degli uomini; troviamo infatti varie conferme esplicite: “L’adempimento da parte del marito del debito coniugale, l’onah, è un obbligo rigoroso della vita matrimoniale…[30].
Non è dunque un precetto che riguarda entrambi i partner; le donne non sottostavano a doveri sessuali equiparabili a questo e, contemporaneamente, il desiderio maschile era sempre visto con un certo sospetto:
E’ una mitzvah (un impegno) per l’uomo far godere la donna, mentre il piacere dell’uomo è considerato al massimo un’inevitabile conseguenza del rapporto sessuale. Il piacere sessuale, che un uomo può trarre dal rapporto stesso è considerato potenzialmente pericoloso e non è una motivazione sufficientemente valida per fare del sesso[31].
L’onah, in altri termini, parla implicitamente di un diritto delle donne alla soddisfazione erotica, anche in ottemperanza al detto: “Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà in guerra e non gli sarà imposto alcun incarico; sarà libero per un anno di badare alla sua casa e farà lieta la moglie che ha sposata[32].

Si potrebbe pensare a una sessualità finalizzata alla procreazione, ma il diritto giudaico
[33], che pure cerca sempre di favorirla, non impone in realtà alcun obbligo: “l’unione di coppia è (…) un fatto ‘celeste’, voluto e creato da Dio (…) si deve perciò sottolineare che nel pensiero dei Maestri il rapporto amoroso nella coppia viene considerato importante di per sé, indipendentemente dalla procreazione[34].
Inoltre il precetto affermava lo stesso diritto per ogni donna, indipendentemente dallo stato di fertilità, confermando dunque l’esistenza di una sessualità femminile legittimata e che quindi doveva essere riconosciuta e accettata socialmente. 


3 - Puro e impuro

Non possiamo non chiederci da dove originava un’idea che suona in modo così particolare all’interno di una cultura complessivamente patriarcale; per capirne di più dobbiamo cercare di analizzare la sfera concettuale entro cui la sessualità, e più ampiamente il rapporto con la materialità, era interpretata. Valutare i termini dell’antica etica ebraica.
Il rapporto sessuale oggetto dell’onah (con lo speculare precetto di astinenza, niddah) non era interpretato con gli strumenti morali del bene e del male, ma si svolgeva all’interno della sfera concettuale del puro/impuro.
E’ quindi su questi termini, puro/impuro, strettamente legati a un’altra coppia di categorie, quella del sacro e del profano, che va approfondita la ricerca ed è necessario premettere che il concetto di “impurità rituale” nell’ebraismo antico non corrisponde all’immagine mentale che il suono ‘impuro’ può far emergere nel pensiero di un moderno. Questo concetto ha una sua storia che va analizzata e compresa, tenendo presente che fare la storia di queste categorie interpretative e dell’evoluzione dei loro contenuti “è un po’ fare la storia del pensiero ebraico e, poi, della sua diversificazione da quello cristiano[35].
Inoltre, conseguentemente al senso che queste stesse categorie avevano nel VI secolo a.C., dovremmo tener presente anche che: “Il pensiero ebraico distingue con cura tra l’essere assoluto e il mondo fisico, afferma la realtà del mondo fisico e la realtà dell’essere assoluto, distinto dal mondo fisico[36]. Vedremo meglio come la realtà del mondo fisico tenderà poi a sfumare, ma solo in alcune tendenze, verso l'inconsistenza di un puro contenitore della "vera"
realtà umana, quella spirituale.

Tutto ciò che aveva a che fare con l’assoluto era di pertinenza del sacro, mentre il profano, il mondo fisico, era definito tramite l’esperienza sensoriale. La coppia sacro/profano delimitava gli ambiti in cui l’essere umano si muoveva, mentre quella impuro/puro definiva la condizione psicofisica in cui veniva a trovarsi, in conseguenza del suo muoversi in essi.
Come forse è stato notato la coppia sacro/profano è stata scritta in modo da rapportarsi in parallelo a quella impuro/puro. Quasi certamente a chiunque sarebbe venuto spontaneo rovesciare i termini della seconda coppia perché il suono “sacro/profano” si lega spontaneamente, secondo la sensibilità attuale, a quello “puro/impuro”.
In altri termini oggi, ma non nel pensiero ebraico antico, il sacro si connette direttamente al puro, così come il profano all’impuro. E’ questo, in un certo senso, il ‘rovesciamento’ che si è verificato nel corso di secoli e che va evidenziato. Ma andiamo con ordine.

Nell’ebraismo antico era chiara l’esigenza di distinguere: “Bisogna separare il sacro dal profano e l’impuro dal puro[37]. Siamo nel VI secolo a.C., e l’idea della separazione netta resterà uno dei capisaldi del pensiero ebraico ‘tradizionale’ posteriore.
Nel sacro si vedeva soprattutto una forza di portata assolutamente terrificante e capace di uccidere - fisicamente - chiunque entrasse in contatto con esso o con gli oggetti di culto o con gli ambienti in cui l’assoluto si manifestava. “Il mondo era sacro, cioè pervaso da una forza terribile, sulla quale l’uomo non poteva assolutamente agire[38].
La natura e le sue manifestazioni più spaventose e incontrollabili erano sacre, come al sacro si rapportava tutto ciò che aveva a che fare con il ciclo della vita e della morte; sotto il controllo del divino e fuori dalla portata dell’uomo che poteva solo adorare e sacrificare a Dio, sostanzialmente per placarlo.
Sacro era tutto ciò che aveva a che fare con il non comprensibile, l’inspiegabile, l’ignoto in senso metafisico, vale a dire con una dimensione non definibile con i cinque sensi, ma che esisteva concretamente in natura.
Già da questa sommaria descrizione si può notare il percorso che il termine “sacro” dovette fare nel corso dei secoli: qui troviamo il tremendum, cui avvicinarsi solo con estrema cautela e con la massima circospezione, ma la contemporanea attrazione esercitata dal mondo sacro svilupperà poi, più tardi, un’aspirazione profonda e colma di gioia estatica nel lasciarsi andare al fascinans del divino, fino a proporsi un’unione totalizzante con esso. Si può evidenziare cioè un progressivo rovesciamento del comportamento umano nei riguardi del sacro.

Anche il termine “impuro” indicava qualcosa di pericoloso, come pericoloso era il sacro, ma con una differenza di tipo quantitativo: il sacro uccideva (“Certo morremo, perché abbiamo visto Dio[39]), mentre l’impuro indeboliva, depotenziava, metteva l’essere umano in una condizione di incapacità, più o meno grave, di affrontare i pericoli, fisicamente intesi. I soldati non potevano diventare impuri (cioè perdere forza) prima di uno scontro, al contrario veniva loro imposto di abbandonare il campo; né il viaggiatore riteneva prudente partire in condizioni di impurità.

L’uno e l’altro (sacro e impuro) sono pericolosi per l’essere umano; l’uno e l’altro rivelano all’uomo l’esistenza di un mondo ignoto, incontrollato ed incontrollabile in quanto non percepibile con i cinque sensi a disposizione della ragione umana: è quel mondo di percezioni e sensazioni, dove si annidano il segreto del cosmo e la fonte della vita
[40].

L’impuro faceva parte della natura, come elemento a se stante (ad esempio gli animali considerati impuri [41]), ma era anche uno status transitorio delle cose e degli uomini che erano stati contaminati per contatto. Ma contaminati da cosa ?
La partoriente non commetteva evidentemente alcunché di peccaminoso nel partorire, ma con il parto diventava impura, così come impura era la donna mestruata o chiunque avesse avuto un rapporto sessuale. Il parto, come il sangue, come il sesso e come tutto ciò che si connetteva al ciclo vita/morte erano sacri e rendevano impuri, cioè contaminati dalla loro stessa sacralità. Da qui la necessità di decontaminarsi.

In effetti non si tratta di togliere lo sporco, ma di ‘neutralizzare’ il sacro in modo che non venga in contatto con ciò che può essere definito il profano (…) Nei riti ebraici ciò che veniva a contatto con il sacrificio diventava ‘impuro’, ossia contraeva parte della sacralità del sacrificio e per riportare l’oggetto all’uso normale era necessario ‘desacralizzare l’oggetto’, ossia purificarlo dal sacro[42].

L’oggetto o la persona ‘contraeva’ parte della sacralità con cui era venuto in contatto e, diventata così ‘impura’, doveva essere purificata, cioè desacralizzata, ossia purificata dal sacro.
Non c’era in ciò alcun tipo di valutazione morale: quello che si rendeva necessario era ripristinare la separazione fra i due ambiti, sacro e profano, con un rito di purificazione, necessario per eliminare il depotenziamento indotto dall’impurità. La persona impura, a sua volta, avrebbe potuto poi contaminare per contatto.

Ma l’impurità, affine al sacro, in quanto depotenziante, non permetteva all’essere umano di rapportarsi al sacro stesso: il pericolo dell’annientamento era gravissimo per chi non fosse assolutamente puro (cioè nel pieno della sua potenza); per questo motivo il Sacerdote, maggiormente esposto alla sacralità del divino, aveva bisogno del massimo grado di purità. In mancanza di questa assoluta purità non poteva avvicinarsi al divino. L’impuro finiva così con l’avere, quasi inavvertitamente, una qualche valenza negativa, un minus, anche se, ancora, senza particolari connotati etici.

Va evidenziato cioè che esistevano, già dall’antichità, elementi contraddittori che apriranno poi la strada a una diversa interpretazione del termine; si andarono delineando due pensieri opposti, uno tendente a mantenere eticamente neutro il concetto di impurità, l’altro più propenso ad inserirvi un elemento negativo contenente un embrione di giudizio morale in cui l’impurità era interpretata come conseguenza di una precedente trasgressione.

Questo punto di divergenza, insieme a contrasti politico-sociali molto forti che qui non è il caso di approfondire, ma gravi al punto da portare la società ebraica alla guerra civile, contribuirà al formarsi di una vera e propria opposizione all’ebraismo “vincente” o sadocita [43].
Al termine di questo scontro politico, successivo al ritorno dall’esilio babilonese [44], gli ambienti della casa regnante usciranno per sempre di scena con l’ultimo Re della casa di David. La casta sacerdotale si affermerà come la corrente maggioritaria del giudaismo del Secondo Tempio [45].

Per chiarire si può affermare: “(il) giudaismo che oggi ci appare come ufficiale (…) più storicamente (lo) possiamo etichettare come sadocita[46].
L’ebraismo è sempre stato, fino alla distruzione del Secondo Tempio, composto da correnti multiple che imporrebbero l’uso del plurale: “ebraismi”; quello che noi oggi chiamiamo “ebraismo” tout-court, l'ebrasimo rabbinico, deriva dalla tradizione sacerdotale sadocita e, in larga misura, dalla sua ideologia.
Le due correnti contrapposte, maggioritaria e minoritaria, saranno legate tra loro solo dalla comune appartenenza etnica e dalla fede monoteistica: per cultura, mentalità, ideologia e teologia le differenze saranno radicali. Il confronto ideologico diventerà spesso scontro e, questa è l’ipotesi della ricerca, l’interpretazione del femminile non avrà una parte marginale in questa dialettica culturale.

4 - L’apocalittica giudaica: l’enochismo

Capofila di questa opposizione alla tradizione sadocita fu una nuova corrente religiosa interna al mondo ebraico che si sviluppò intorno al V a.C. “il cui pensiero si distingueva nettamente dal resto della produzione giudaica del suo tempo[47]. Questa corrente è stata chiamata enochismo dal nome del patriarca Enoch, protagonista dell’opera letteraria di riferimento. Il Libro di Enoch (“non un singolo documento, bensì una raccolta di cinque libri indipendenti[48]) è un testo apocrifo, considerato canonico solo dalla Chiesa copta, di cui fu rinvenuta una versione completa in dialetto etiope ge’ez (da qui il nome di Enoch Etiopico o 1Enoch). Sono state rinvenuti inoltre un Enoch slavo, o 2Enoch del I sec. d. C., e una posteriore apocalisse di Enoch o 3Enoch.

La datazione di 1Enoch è stata a lungo considerata tarda, al II secolo a.C., fino a che l’analisi di un frammento trovato nelle grotte di Qumran [49] non ha convinto gli studiosi a retrodatarne la stesura di alcuni secoli. Come vedremo la datazione non è irrilevante ai fini di questa ricerca.
L’insieme del Libro di Enoch costituisce, non a caso, un nuovo Pentateuco, a significare una vera e propria opposizione, culturale, religiosa e politica, al Pentateuco della tradizione mosaica [50], con l’uso inoltre di un linguaggio mitico-simbolico, inusuale nell’ebraismo.

Caratteristica dello stile apocalittico [51] è l'esposizione del pensiero mediante simboli (…) Questi simboli sono visti normalmente in visioni. La visione è considerata mandata da Dio e strumento unico valido della conoscenza (…) Anche la storia è narrata con questo sistema: lo storico non scrive la sua opera perché ricorda o trova ricordi e documenti, ma perché gli avvenimenti gli vengono rivelati, anche prima che accadano[52].

La corrente enochica scorrerà per cinque secoli parallela, ma in aperta concorrenza, alla tradizione sadocita e parteciperà a quella articolata atmosfera degli ultimi secoli precedenti l’era cristiana in cui si svilupperà, tra l’altro, una dimensione ascetica sconosciuta all’ebraismo tradizionale.

Cercando di seguire il complesso percorso che porterà alla fine alla formazione di una nuova etica, non possiamo non notare anzitutto che nel Libro dei Sogni (1Enoch), si denuncia l’errore del popolo di Israele che ebbe paura della presenza del divino, di cui avvertiva il tremendum, ma non il fascinans: “gli ebrei si resero conto che il vero pastore era Dio stesso che viveva in mezzo al suo popolo e che si faceva vedere da lui, ma essi ebbero paura del suo volto; la sua presenza non fu accettata. Non erano in grado di stare vicini a Dio. Avevano paura del sacro[53].
Nell’additare il problema, l’enochismo allo stesso tempo tracciava un nuovo modo di intendere il rapporto con il sacro: suggeriva la possibilità di modificare profondamente la sensibilità tradizionale, affacciando l’idea di una non-temibilità del sacro, primi accenni della possibile unione mistica con il divino.

5 - L’impuro e la trasgressione

Molto più complesso il sistema teorico in cui si andava componendo una nuova idea di ‘impuro’, non più visto come elemento di natura, insito nelle cose create. Qui ci troviamo di fronte ad un vero e proprio salto epistemologico: secondo il mito - raccontato nel Libro dei Vigilanti, cioè nella parte più antica del corpus enochiano, un gruppo di angeli fu attratto dalle figlie degli uomini e scese dal cielo per unirsi a loro, generando degli esseri maligni, i Giganti [54].

E si presero, per loro, le mogli ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da loro. E si unirono con loro ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostrarono loro il taglio di piante e radici. Ed esse rimasero incinte e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti[55]

Troviamo in Genesi 6, 1-2 il momento di interconnessione tra il testo enochico e quello biblico: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero”.
Questa unione trasgressiva dell’ordine cosmico, in cui si evidenziano interessanti tratti di una primitiva forma di “stregoneria”, cioè di sapienza femminile, aveva determinato la diffusione dell’impurità e della violenza in tutto il creato, da cui la decisione divina di sterminare l’umanità con il diluvio.

Perché avete lasciato il cielo eccelso e santo e vi siete coricati con le figlie degli uomini? (...) Voi, esseri spirituali, santi, viventi la vita eterna, avete commesso impurità sulle donne… avete fatto come fanno gli uomini, che sono sangue e carne, che sono mortali e distruttibili. Per questo Io detti loro le donne…[56].

La volontà di procreazione degli esseri angelici si fonde con l’insegnamento che essi possono trasmettere agli esseri umani, in un mutuo scambio di caratteri
stiche tra “animalità” materiale umana, atta alla procreazione, e la scienza degli angeli Vigilanti, detentori del sapere di derivazione divina.

E dissero al loro Signore (…) vedi, allora, quel che ha fatto Azazel, come egli ha insegnato tutte le pravità sulla terra ed ha reso manifesti i segreti del mondo che si compiono nei cieli e (vedi come) Semeyaza (…) ha insegnato gli incantesimi e (vedi come) andarono dalle figlie degli uomini, insieme, giacquero con loro, con quelle donne, si resero impuri e resero manifesti, ad esse, questi peccati, e (vedi come) le donne generarono i giganti e, perciò, tutta la terra si riempì di sangue e di pravità[57].

Nella tradizione sadocita l’impurità faceva parte della natura (la vita, la morte, il parto, il sesso) e in essa non c’era colpa. L’essere umano poteva essere contaminato in alcuni momenti, fatti o circostanze della sua vita naturale e il rito di purificazione ne ripristinava la dimensione originaria.
Nella concezione enochica essa invece derivava da una ribellione; a monte dell’impurità era individuata una volontà di trasgressione, anche se di origine preterumana. L’impurità, da status eticamente neutro, si andò caricando di una valenza negativa; si stabilì una connessione diretta fra impurità e trasgressione.
Trasgressione che era una scelta volontaria, cioè una colpa; ma non quella che conosciamo come ‘peccato originale’ che nella ricostruzione enochica della Genesi fu addirittura ‘dimenticato’ [58] da cui si deduce che ”…l’omissione del racconto del peccato dell’Eden sia volontaria e risponda ad una teologia che voleva far risalire chiaramente a un essere di natura angelica l’origine del peccato[59].
E’ degli ‘angeli’ la caduta, la trasgressione, il peccato di essersi uniti con le donne, che erano state create per gli uomini di carne e di sangue. Essendo gli uomini mortali e distruttibili le donne “servivano” per la riproduzione della specie; gli esseri immortali, ovviamente, potevano farne a meno.

Gli angeli esistevano nel Pentateuco, ma erano comunque esseri spirituali, senza corpo, appartenenti integralmente alla sfera del sacro.
Nell’enochismo si assiste invece al formarsi di una nuova ideazione: gli angeli sono numerosi, hanno aspetto umano, nomi, funzioni e una loro specificità sessuale. E’ di alcuni di loro la colpa di aver contaminato il mondo, l’opera del creato. E’ loro la colpa di infrangere il limes che divideva il mondo umano da quello spirituale. Essi travalicano questo confine per accoppiarsi con le donne umane, perché sedotti dalla loro bellezza e per poter procreare a imitazione dell’uomo carnale.
La conseguenza è che, come il Male è dichiarato preterumano, così il Messia
[60] che dovrà liberare l’umanità dal Male stesso si andò caricando di poteri sovrannaturali e, contemporaneamente, si traccia la strada per l’uomo che non vuole commettere impurità: “l’uomo è formato di spirito e di corpo, immortale il primo e caduco il secondo (che) però è contaminato (dalla caduta degli angeli). Compito dell’uomo è mantenere puro, non contaminato, lo spirito, perché possa vivere della sua vera vita[61].

L’uomo ‘nuovo’ deve essere puro, lasciando all’uomo carnale l’impurità del rapporto con la donna, mentre per la donna non pare esserci scelta: il suo mondo, il suo territorio non può che essere quello profano. E’ pre-destinata agli uomini di carne e sangue, è ‘creata’ per loro. Ci vorranno ancora secoli perchè si formi per lei, parallelamente all’uomo ‘nuovo’ e dopo aver assorbito elementi di altre culture religiose, anche un nuovo: “…ideale di donna (che) diventa la madre-vergine, quella 'pura' perchè non ha conosciuto uomo, il cui modello doveva essere la partenogenesi di una vergine fecondata direttamente dalla divinità[62].
Il rapporto carnale uomo-donna e il concetto di impurità/colpa ad esso connesso si trovarono quindi legati dall’idea che nella sessualità c’è un cedimento, quello degli ‘angeli’, degli esseri spirituali. Cominciamo a vedere come l’angelo caduto tratteggiasse una prima idea di ‘diabolico’ connesso alla carnalità. La cultura apocalittica si allontana decisamente dai lidi dell’impuro concepito come status eticamente neutro, emendabile con un semplice rito di purificazione.

6 - L’essenismo: la colpa della fornicazione. Qumran e il male originario

La connessione tra impurità e male si affinerà nella corrente essenica, movimento apocalittico di derivazione enochica, risalente al II secolo a.C.
Improvvisamente qui sembra dissolversi l’idea che l’impurità potesse essere addebitata alla “caduta degli angeli”, ma resta l’idea di un legame fra colpa e rapporto carnale con la donna; il sesso diventa per se stesso impuro, cioè, nella lettura essenica, peccaminoso. L’antica colpa degli angeli che avevano trasgredito l’ordine cosmico ora diventa la colpa di chiunque ceda alla fornicazione.
Per gli esseni: “Tutto ciò che può ledere la purità del sacerdote diventa impurità, peccato, male per tutto il popolo ebraico[63]. La fornicazione è causa della massima impurità, il sesso è il mezzo attraverso il quale la colpa investe il mondo.
 

Nella comunità di Qumran [64], sviluppatasi attorno al I secolo a.C. e dispersa nel corso della prima guerra giudaica, si forma un’idea di predeterminismo in cui l’angelo caduto non è tale per aver trasgredito, come nell’enochismo, ma è stato creato così all’inizio dei tempi. Non c’è più bisogno della trasgressione; il Male è pensato come creato da Dio stesso, contemporaneamente al Bene. Non è più necessario che l’uomo commetta qualcosa per creare impurità. Si supera anche l’idea essenica di una ‘colpa’ insita nell’unione carnale: per essere colpevoli non è necessario fornicare, anche se questo conferma l’essenza peccaminosa dell’uomo. Qui si arriva all’estrema sintesi, al punto che “l’uomo è nel peccato fin dall’utero”.
La parola usata, awon (peccato), ha un significato prossimo a ‘macchia’ indelebile: “l’awon è (…) una macchia che si attacca all’uomo fin dal concepimento: fa quindi parte della sua natura[65].
 
Cos’è il nato da donna fra le tue opere terribili?
Egli è struttura di polvere modellata con acqua,
suo fondamento è il peccato colpevole
indecenza immonda, fonte d'impurità,
su cui domina uno spirito di perversione [66]

Quale creatura d'argilla può fare miracoli?
Fin dall'utero è nel peccato
e fino alla vecchiaia nella colpevole iniquità [67]

Il pensiero apocalittico, dopo l’antica ‘dimenticanza’ enochica del peccato originale, giunge, alla fine di un diverso percorso ideologico, alle stesse conclusioni del racconto biblico della caduta di Adamo ed Eva: l’impurità/peccato/male è insita nella natura umana a partire dal concepimento e fino alla vecchiaia, né esiste alcuna idea, sia pur vaga, di possibilità di trasformazione.

Il modo per purificarsi, l’unica possibilità, non è più il rito tradizionale, ma è entrare nel Patto di Dio, cioè nella Comunità stessa. Chi non lo fa vive nella colpa originaria; si delinea un conflitto radicale tra i Figli della Luce [68] (come gli adepti si denominavano) e i Figli delle Tenebre, gli esterni alla Comunità, gli uomini di carne e sangue.
Il predeterminismo qumranico si esplica nel definire che gli esseri umani si salvano se sono giusti, ma sono giusti se sono scelti.
Per i membri della comunità questa non è una ragione di rammarico, bensì di gioia: essi sono gli eletti e niente può separarli dall’amore di Dio[69].
Appartenere alla Comunità significa essere scelti, cioè giusti, cioè salvi. Versione ebraica della massima cristiana Extra Ecclesiam nulla salus [70].

Nonostante la Comunità di Qumran fosse strettamente settaria e separata dal resto del popolo ebraico, in realtà qui si gettarono le basi di una nuova struttura societaria i cui adepti non erano più il “popolo di Israele” della visione etnico-religiosa a spiccate tinte nazionalistiche dell’antico ebraismo, ma il popolo della Comunità dei Purificati. Concetto universalistico che sarà poi attribuito alle parole di Gesù e che sarà alla base della Grande Chiesa immaginata da Paolo di Tarso [71]; passaggio fondamentale per il lento, travagliato, ma inarrestabile successo come nuova forma del sovranazionale e multietnico Impero Romano.
 

Nel cristianesimo “i dogmi furono formulati e confermati da concili e a loro volta i concili furono legittimati da un’istituzione, la Chiesa, che amministrava la salvezza, cosicché chi la rinnegava perdeva la redenzione[72]: cioè la possibilità di liberarsi dalla colpa originaria. L’Istituzione così decideva le sorti terrene e ultraterrene degli esseri umani e il Potere, grazie alla nuova strutturazione, poteva ampliare i suoi orizzonti ad infinitum.

7 - L’uomo si fa Spirito

L’idea che, per la primordiale colpa preterumana, l’immagine del Messia, originariamente una umana guida per il popolo ebraico, si caricasse via via di poteri sovrannaturali, si sviluppò in una sempre più definita possibilità di superare il confine tra spirituale e materiale.
Oltrepassare questo confine, tradizionale rappresentazione fantastica raccontata e ripetuta in tutte le mitologie arcaiche, aprirà la strada all’idea di una reale incarnazione dello spirito nell’umano - o a quella, di segno contrario, di una possibile trasformazione dell’umano in puro spirito - che implica il superamento della stessa morte fisica.

Se Yeoshua di Nazareth verrà pensato ‘Figlio di Dio’ e poi, con l’elaborazione del pensiero trinitario, addirittura “Dio fattosi Uomo”, morto e poi risorto, anche altre figure a lui più o meno contemporanee, saranno accreditate di caratteristiche superumane: il profeta Elia, rapito in cielo in un turbine di fuoco, Melchisedek “sacerdote in eterno”, il ‘Figlio dell’Uomo’ non meglio definito Messia di impronta enochica o lo stesso Enoc, mai morto secondo la Bibbia [73],che alla fine della sua ascesa al settimo cielo si trasformerà in puro spirito, nell’angelo Metatron.
Il pensiero giudaico-apocalittico, a cavallo della distruzione del Secondo Tempio, aveva ormai elaborata compiutamente l’idea che la Salvezza potesse derivare solo da un essere preterumano.

8 - La nuova religione, il male interno e il peccato originale

Una frase riportata nei Vangeli e attribuita a Gesù [74], è significativa nell’evidenziare il distacco culturale della setta giudeo-cristiana dall’etica ebraica tradizionale: “Non è impuro quello che entra dalla bocca, ma è impuro quello che esce dalla bocca[75].
Si ratifica cioè che l’impurità, ormai carica di valenza negativa, non è esterna all’uomo (il cibo impuro: ciò che entra dalla bocca e, per estensione, ciò che dall’esterno contamina l’uomo), da cui ci si può comunque separare con la purificazione, ma è interna all’essere umano, quindi ciò che esprime, ciò che dice, ciò che esce dalla bocca.

L’interpretazione di parte cristiana legge nelle parole di Gesù la volontà di denunciare come ‘causa di impurità’ la reale intenzionalità interna al rapporto interumano; esse costituirebbero perciò un approfondimento del pensiero umano, capace di andare oltre l’esteriorità formale giudaica, fatta di rigida osservanza dei precetti di Legge.

Interpretazione sicuramente da approfondire, ma senza dimenticare, nello stesso tempo, la consequenzialità storica tra i vari movimenti dell’ apocalittica giudaica precedenti e contemporanei alla predicazione gesuana ed il cristianesimo stesso; in particolare la connessione con l’essenismo (che fu la ‘culla’ del cristianesimo e che con esso aveva molti ed importanti tratti comuni) e con la sua derivazione qumranica che parlava esplicitamente di ‘male interno’ come dimensione originaria e naturale degli esseri umani, non come conseguenza di una dialettica interpersonale.
Qui il Male è dentro l’uomo fin dall’utero, fin dal concepimento, è la sua natura stessa e gli sviluppi successivi della cultura cristiana sembrano fondarsi senza molti dubbi su questa convinzione; in particolare per la reiterata e insistita riproposizione del peccato originale [76], avvenuto dentro il paradiso terrestre dove, non esistendo la morte, anche il tempo era inesistente. Cioè in una dimensione intrauterina.

Nell’ebraismo rabbinico al contrario
non esiste l’idea di una colpa originaria: “Felice l’uomo la cui ora della morte somiglia all’ora della nascita: come nascendo egli è esente da peccato, possa esserne esente quando morirà[77]; né esiste l’idea di una trasmissibilità della colpa: “Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio[78].

La connessione cristiana tra peccato originale e sessualità sembra derivare dalla consecutio tra espulsione dal Giardino e il successivo rapporto carnale tra Adamo ed Eva. L’esegesi cristiana [79] sancisce la differenza tra “status naturae integrae” - che rappresenterebbe la natura originariamente non ancora corrotta dell’essere umano, precedente la trasgressione, ma anche precedente l’amplesso [80] - e lo “status naturae lapsae” - cioè ‘decaduta’ - descritta nel racconto che parla della trasgressione e dell’espulsione. Infine, in Genesi 4, “Adamo si unì con Eva”, per procreare il primo figlio, Caino.
Il rapporto carnale sarebbe quindi esterno al paradiso terrestre e, di conseguenza, parte integrante dello “status naturae lapsae”. Sesso e colpa sono sempre stati, nella lettura cristiana, strettamente connessi (come fu riconfermato infine anche dal Concilio di Trento [81]) e la donna additata come origine della colpa: “non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione[82].
Ma troviamo un’affermazione che suggerisce la differenza della lettura in lingua ebraica: “nel testo originale ebraico, dove il sistema dei tempi non è lo stesso che in greco o in latino, si può intendere come ‘l’uomo aveva conosciuto Eva… è evidente che in questo caso il trapassato indica che l’unione è avvenuta prima, anteriormente alla colpa…[83].
 

Trasgressione e punizione, nella versione originale ebraica, quindi non sono state connesse alla sessualità come la lettura cristiana ci ha voluto imporre. La Septuaginta, che tradotta in greco non ha mantenuto il sistema dei tempi della lingua ebraica, fu la Bibbia dei ‘Padri’ del primo cristianesimo; era forse già modellata ideologicamente su una dimensione misogina di origine ellenistica e veicolava così, probabilmente, contenuti sconosciuti all’ebraismo ‘classico’.
Nel pensiero cristiano si evidenzia cioè il progressivo slittamento dall’idea di tentazione cui l’uomo è sottoposto, a una dimensione di natura maligna originale: “Il peccato di cui parla Paolo (di Tarso) è una trasgressione che si perde nella notte dei tempi, che risale ad Adamo…[84]
.
Nel cristianesimo quindi il rapporto sessuale è parte della natura decaduta dell’essere umano ed è strettamente connesso alla colpa originaria, intrauterina.
 
Il 'male interno' significa, in linguaggio psichiatrico, inconscio perverso, in questo caso naturalmente perverso. Rubando per un attimo il mestiere agli psichiatri, si può affermare che l’altro da sé, la donna per l’uomo, l’uomo per la donna, che va a rappresentare la propria dimensione irrazionale dei primi mesi di vita [85], si trova così ad essere il contenitore del proprio Male; e perciò vissuto con ribrezzo, disprezzato e violentato o annullato, reso inesistente. Le donne possono essere vissute solo come animali da riproduzione o prostitute. L’uomo può essere solo un violentatore con diritto di scarica sessuale. Alla fine la sessualità, che in realtà dovrebbe essere “legata al confronto, alla dialettica tra identità diverse[86], per una donna sarà peccato e sensi di colpa; per l’uomo diventerà bisogno, necessità fisiologica [87].

Il rapporto uomo-donna in questo nuovo contesto culturale non potrà che svilupparsi all’ombra delle ingombranti vergini lacrimose e dei pii asceti consunti e martoriati [88], cioè dei puri di entrambi i sessi, e realizzarsi solo nell’ambito di finalità procreative le più asessuate possibile.

9 - La nuova etica: sacro/puro/bene, profano/impuro/male


La grande parabola storica dell’impurità, da elemento esterno all’uomo e derivante da un contatto con il sacro, fino a “male” interno all’uomo, qui arriva a compimento e, corrispondentemente, arriva a compimento anche quella del termine “sacro” che: “…non fa più paura e diventa anzi lo stato ideale e desiderato della natura umana più profonda[89].
La doppia coppia di categorie da cui siamo partiti, impostata sul parallelismo sacro/impuro e profano/puro dopo essersi ri-composta nei parallelismi opposti sacro/puro e profano/impuro, si è alla fine assestata in Sacro/Puro/Spirituale/Bene e Profano/Impuro/Materiale/Male, che conosciamo bene essendo ormai entrata nel lessico e, purtroppo, nella mentalità comune.
 

Tra la filosofia greca e il mondo ebraico, che per secoli si erano sfiorati rifiutandosi categoricamente a vicenda, si venne così a creare una possibile sintesi: questo nuovo ambito culturale apocalittico-cristiano, separatosi e nello stesso tempo rifiutato dalla tradizione ebraica, venne a trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda della filosofia greco-romana, dove la distinzione tra forma e materia corrispondeva a un’esaltazione della mente-ragione e al disprezzo per la corporeità, vissuta come bassa animalità.
Due tessuti diversi, ma sostanzialmente compatibili, che necessitavano solo di sarti che si impegnassero ad assemblarli. Come Paolo di Tarso che disse di aver visto e udito il Cristo risorto [90].

10 - Finito e Infinito: l’enochismo fonda la religiosità moderna

Ma non furono solo le categorie etiche a modificarsi nel corso degli ultimi secoli del giudaismo del Secondo Tempio.

L’antica tradizione culturale mosaica si fondava su una concezione dell’armonia cosmica derivante dall’opera di distinzione e di separazione che Dio aveva operato intervenendo sul caos originario [91]. L’intera creazione consisteva in questo: separare e distinguere. La luce dalla tenebra, la terra dall’acqua e il cielo dalla terra, le acque superiori da quelle inferiori, ciò che sta sopra da ciò che sta sotto, il maschile dal femminile. Da qui il tabù assoluto riguardante, ad esempio, l’omosessualità: non si poteva confondere il maschile con il femminile.

Da questo pensiero razionalizzante, da questa precisa determinazione derivava l’obbligo di separare il sacro dal profano, l’impuro dal puro.
Il comprensibile dall’inspiegabile, il conosciuto dall’inconoscibile, il Finito dall’Infinito. Ogni trasgressione dell’ordine cosmico, di cui i sacerdoti sadociti si sentivano i responsabili e attenti guardiani, poteva far crollare tutto il cosmo, tutta l’opera della creazione.
La Legge data da Dio a Mosè serviva a preservare l’intera Creazione, buona e pura, dalla caduta nella disarmonia originaria. Nelle tenebre del caos primordiale.

Quando l’enochismo si concretizzò come corrente culturale e teologica rivale della tradizione mosaica affermò che questa difesa dell’ordine delle cose era inutile, perché il limes era già stato superato dalla “trasgressione angelica”. Il male si era già diffuso nel mondo: “il male e l’impurità sono incontrollabili e gli esseri umani, compresi i fieri Sacerdoti (Sadociti) di Gerusalemme non hanno alcun potere[92].
La sapienza antica era vana perché la separazione tra sacro e profano era stata violata. “Come conseguenza del peccato angelico, l’ordine della creazione è stato infranto e la terra è divenuta preda delle forze del caos[93].
Nello scontro, culturale e teologico prima ancora che politico, tra aristocrazia sacerdotale sadocita e movimento enochico entrarono in gioco elementi concettuali fondamentali: Mosè, il simbolo della tradizione, che aveva sì parlato a tu per tu con Dio, ma che era considerato pur sempre un uomo in carne e ossa, si trovava a confronto con Enoch il patriarca che, non essendo mai morto e “vivendo adesso in cielo” aveva “più diretto accesso alla rivelazione divina[94]. L’uomo, altra cosa da Dio, si trovò a fronteggiare l’Uomo divenuto esso stesso Spirito.

Da una parte le Tavole della Legge descrivevano l’opera divina di separazione e, ponendo i confini tra sacro e profano, definivano l’ordine cosmico dove il Finito doveva rimanere ben distinto dall’Infinito e, nella separazione, essi trovavano la rispettiva accettazione ben descritta dalla frase “il pensiero ebraico afferma (sia) la realtà del mondo fisico…(sia) la realtà dell’essere assoluto[95], anche se l’Infinito costituiva comunque quell’essere supremo, eterno e inconoscibile che tanto aveva terrorizzato gli ebrei del tempo antico [96].

Nella corrente apocalittica Finito e Infinito invece si confonderanno, a partenza dal mito di Enoch, per arrivare al Cristianesimo [97]. L’unica remissione dei peccati, cioè della stessa natura umana originaria, è la fede nel Cristo fattosi uomo, nell’Incarnazione; il che, inoltre, presuppone la totale accettazione dell’idea di immortalità dell’anima. Affermazione di un pensiero che nell’umanizzare Dio, in realtà divinizza l’uomo.

L’annullamento del confine tra Finito e Infinito, soprattutto nei termini temporali, proietterà l’essere nella vita eterna cancellando i limiti dell’esistenza scanditi dagli estremi di nascita e morte che a loro volta, saranno confuse l’una con l’altra. E la morte, per i cristiani, diventerà la vera vita.
Il mondo sacro sarà l’unica verità, la “realtà per eccellenza[98] ma sappiamo che il sacro (come dimensione inconoscibile) in larga misura coincideva con il divino (l’entità trascendente esterna all’uomo): l’unica realtà sarà quindi fuori dell’essere umano che diventerà un puro simulacro della verità. Qui non esisterà più l’affermazione della realtà dell’essere assoluto, ma anche del mondo fisico, propria dell’ebraismo classico [99].

A questo punto come non ricordare: “…quanto c’entra l’Islam in questa proposizione precisa che l’uomo è finito, il mondo è finito, mentre la caratteristica di Dio (…) è il fatto di essere infinito, cioè assolutamente diverso, per non dire opposto, rispetto alla realtà umana. Questo, mistificatoriamente, dovrebbe essere il legame con Spinoza, in cui c’è la formulazione interessantissima secondo cui l’unica realtà, l’unica verità assoluta è la divinità, perché è l’unica verità che non va incontro all’inesistenza, mentre l’uomo va incontro all’inesistenza. Logica razionale: siccome va incontro all’inesistenza, in verità la realtà dell’uomo non è vera; l’unica verità è quella divina e l’uomo, come ripeterà Hegel, è soltanto epifania di Dio. Che poi, pur essendo Spinoza ebreo, potrebbe essere la matrice dell’incarnazione del cristianesimo: la materia non sarebbe altro che l’incarnazione di questo infinito che sarebbe Dio[100].

Già nel Libro dei Vigilanti (1Enoch) la più antica espressione dell’enochismo, si era infatti conferita all’uomo una “realtà” nuova, affermando l’idea di immortalità dell’anima [101], credenza sconosciuta all’ebraismo della tradizione sadocita [102].

La corrente enochica portò nel giudaismo un modo completamente nuovo di intendere e vivere il rapporto uomo-Dio, cioè la religione. La base del cambiamento è la nuova antropologia: l’uomo non finisce la sua vita con la morte, ma la può continuare in una dimensione diversa e migliore (…) L’interesse per le cose di questo mondo è bilanciato e forse superato da quello per l’aldilà, dove tutto ciò che è paura, sofferenza e morte non esisterà più. L’enochismo fonda la religiosità moderna, visibile soprattutto nella derivazione cristiana[103].

Da cui si può leggere, in contrappasso con l’ideologia enochica, quali erano i canoni classici dell’ebraismo sadocita, in cui l’ipotesi di salvezza, individuale e collettiva, si esauriva in questo mondo, mancando una concezione ultraterrena della vita umana post mortem, pur nell’indiscutibile certezza dell’esistenza di Dio [104].

La frase di Massimo Fagioli “la materia non sarebbe altro che l’incarnazione di questo infinito che sarebbe Dio” va ripetuta perché ne sia evidenziato il concetto di fondo: nel cristianesimo la materialità umana è resa realtà non esistente perché non sarebbe altro che una veste transitoria di quella realtà vera chiamata Dio. Lo scontro con il cristianesimo per affermare l’esistenza stessa della realtà materiale umana non può che essere radicale e totale [105].

11 - Un significato di reazione e di resistenza

Al termine di questo lungo excursus storico si può comprendere meglio come il precetto talmudico che regolava i rapporti fra uomini e donne, l’onah, la soddisfazione erotica, si trovasse ad assumere un significato assolutamente particolare all’alba dell’era cristiana. Esso andava probabilmente oltre la volontà dei Maestri che lo avevano redatto: era un precetto di legge, risibile nella sua pretenziosità di stabilire tempi e quantità degli incontri sessuali, violento nell’arrogante volontà di controllare la libera sessualità umana, che però, implicitamente, affermava l’esistenza della donna, della materialità del suo corpo e la legittimità della sua sessualità.
Parla di una cultura in cui esseri umani diversi realizzano nell’incontro carnale, la comunione con il ‘divino’, non la confusione tra materiale e spirituale.
Dimensione tutta da interpretare, se vogliamo, ma certamente altra cosa rispetto a quell’idea di sessualità verso cui tendevano invece gli ambiti giudaico-apocalittici e cristiani:

Il termine cristiano ‘peccato originale’ non esiste in ebraico; soltanto nel XIII secolo fu coniato un termine corrispondente, in conseguenza delle controversie teologiche del tempo fra ebrei e cristiani[106].

...può darsi che la dottrina cristiana del peccato originale abbia contribuito a rafforzare la posizione ebraica verso una concezione positiva della sessualità[107]

…nella concezione cristiana, è la negazione della dimensione sessuale a essere vista come positiva (…) l’ebraismo combatte contro l’idea che astenersi dai rapporti sessuali porti alla purità. Ed è per questo che, al suo interno, la prospettiva degli Esseni (…) fu minoritaria (…) Storicamente la reazione ebraica alla concezione cristiana della sessualità e del peccato originale che ne è alla base, non consistette in una sua negazione diretta, ma sfociò piuttosto nella creazione di un apparato normativo diverso[108].

La lettura ebraica non conosce, come abbiamo visto, la connessione tra colpa originaria e sessualità. Più in generale la cultura ebraica tradizionale in sostanza non è stata sessuofobica
[109]; il che non significa che non sia stata patriarcale e androcentrica. Ma sembra che si possa affermare che se la donna del mondo occidentale greco-romano [110] passò da una dimensione di puro “oggetto” riproduttivo utile allo Stato, alla desessualizzata madre cristiana utile a Dio, nel mondo ebraico si era invece formata l’idea che la specifica identità sessuale femminile potesse e dovesse essere accettata e riconosciuta socialmente.

12 - Azzardiamo un’interpretazione

Fin qui la storia. Abbiamo visto quali erano i termini dell’ampio scontro teologico e culturale fra casta sadocita e ambienti apocalittici, ora raccogliamo le idee e tentiamo un riassunto, ma tenendo sempre l’attenzione focalizzata strettamente sulla concezione del femminile; alleggeriti così dal peso di un’esegesi molto complessa, isoliamo pochi, essenziali, passaggi storici e culturali su cui riflettere.


1) IX-X sec. a.C.
[111] Redazione di Genesi 2 in cui la donna è creata dalla costola dell’uomo, originato prima di lei. Si parla del peccato originale.
2) VI sec. a.C.
[112] Redazione di Genesi 1 in cui si afferma la creazione ‘paritaria’, contemporanea e con le stesse modalità, di uomo e donna.
3) V sec. a.C.
[113] Redazione del Libro dei Vigilanti e inizio della tradizione enochica in cui la diffusione del male è conseguenza dell’unione fra ‘angeli’ e donne.

Prima di avventurarci in una qualche ipotesi interpretativa, facciamo un’ulteriore passo indietro nei secoli e analizziamo il senso dato dal Semerano al mito sumero di Enki e Ninhursag:

Come è noto il paradiso terrestre (…) si trova nella letteratura sumera (…) da un poema che tratta il mito di Enki e Ninhursag (…) sappiamo che in un remoto paradiso (…) il ‘paese dei vivi’ non cioè degli uomini mortali, le dee nascono senza dolore; ma Enki mangia le otto piante fatte spuntare da Ninhursag, la grande dea madre che lo maledice, lo vota alla morte e scompare. Lì una parte del corpo di Enki, ferito, è la costola e la dea creata per guarire la costola è Nin-ti (la signora della costola e la signora che fa vivere perché ‘ti’ significa in sumero “costola” e “vita”): di questo gioco di parole nulla rimane, è ovvio, nel racconto biblico…[114].

La dea, una delle immagini femminili della cultura sumera, interviene per curare la costola, la vita dell’uomo. La donna dà la vita all’uomo: Nin-ti, la signora che fa vivere.
Nell’antica acquisizione ebraica di questo mito, che troviamo nella versione di Genesi 2, complice forse la differenza linguistica (il sumero non è lingua del ceppo semitico) e con una evidente volontà di affermare una cultura androcentrica, la situazione si rovescia ed è la donna che nasce dalla costola dell’uomo (come dirà Paolo di Tarso mille anni dopo “non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo”, affermando una scala gerarchica di valori sociali durata altri duemila anni).
Secoli più tardi la Fonte Sacerdotale, cioè un autore Sadocita, nella stesura completa del testo biblico, inserisce Genesi 1, la versione ‘paritaria’ della creazione di uomo e donna e, contemporaneamente, la versione in cui manca totalmente l’idea di ‘peccato originale’.
 

Sorge spontanea la domanda sul perché si sia sentita l’esigenza di inserire una ripetizione della stessa Creazione in cui si fa però apparire l’uomo e la donna con lo stesso atto, nello stesso momento e, come verrà detto successivamente, dalla stessa materia originaria, eliminando volutamente dal nuovo racconto la derivazione della donna dall’uomo. E perché si è voluta eliminare radicalmente qualsiasi ipotesi di una colpa originaria dei primi esseri umani.

Non lo sappiamo e l’origine di questo strano “doppio” indubbiamente costituisce un bel rompicapo, che potrebbe suonare come l’unica vera originalità dell’ebraismo
[115], anche se è forse ipotizzabile un’assonanza con la versione paleo babilonese dell’arcaico mito dell’Atra-hasis [116], o Grande Saggio.

Potremmo azzardare qualche ipotesi di interpretazione solo valutando l’insieme delle culture del giudaismo del Secondo Tempio. Accettando cioè la datazione del Libro dei Vigilanti al V secolo a.C., dobbiamo pensare che la sua redazione sia avvenuta in tempi molto prossimi alla stesura di Genesi 1, il racconto ‘paritario’ della creazione.
Si intuisce quindi una serrata dialettica fra i due temi, rappresentazione dello scontro culturale in atto fra le correnti del medio giudaismo.
Nel Libro dei Vigilanti si sostiene che l’origine del Male è degli ‘angeli’, ma il messaggio, nemmeno tanto latente, è che le donne sono la vera causa della caduta, per la loro bellezza e per la seduzione del loro corpo.
La punizione che investe gli angeli caduti tocca quindi anche alle donne seduttrici: “Ed anche le loro donne, avendo fatto errare gli angeli del cielo, sono trattate come i loro amici[117].
Da loro deriva la diffusione del male nel mondo; pensiero che sostanzialmente ri-affermava la caduta di Eva e la cultura del X secolo a.C.
 

Diventa più chiaro perché tutto il racconto del ‘peccato originale’ era stato “dimenticato” nei testi enochici; in questi ambienti si stava probabilmente elaborando una nuova costruzione metafisica in grado di riproporre, scremandolo dalle immagini folcloristiche di sapore mesopotamico, lo stesso tema: motivo della diffusione del Male è la donna.
E’ evidente che un filo di pensiero comune legava la logica androcentrica del mito della ‘costola’ (e del ‘cedimento’ di Eva) a quella del misoginismo enochico. La donna è causa di perdizione: non era stato introdotto solo un pensiero che poneva il maschio al centro della struttura sociale che l’ebraismo condivideva, in modo più o meno accentuato, con altre culture dell’epoca o precedenti, ma anche un pesante giudizio morale e di condanna del femminile, probabilmente assente nel mondo accadico-sumero.

Ma, mentre l’autore enochico riproponeva, per quanto ‘modernizzata’, l’antica logica misogina, la Fonte Sacerdotale inseriva un elemento contrastante: appare l’idea di una parità ‘di origine’ fra uomo e donna, che sembra essere la proposizione di una cultura in cui principio maschile e principio femminile potessero coesistere, pur con ambivalenze e contraddizioni. E, allo stesso tempo, è esclusa qualsiasi idea di una colpa primordiale: né quella umana di Adamo ed Eva (Genesi2), né quella ‘angelica’ del primo enochismo. L’essere umano è pienamente responsabile delle proprie azioni e la donna, in primis, sembra essere al riparo da qualsiasi accusa specifica.

Non è perciò insensato affermare che la rivoluzione interna al mondo giudaico non sia stata la nascita dell’apocalittica, come si ritiene abitualmente, cioè della cultura che ha fondato la sensibilità, spiritualità e religiosità moderna, bensì quella del suo opposto, il pensiero della tradizione ebraico-sadocita.
L’apocalittica, che a prima vista può apparire come un’esigenza culturale di superare o di resistere al razionalismo sadocita, costituirebbe, in verità, un pensiero di reazione, la riproposizione di una logica dai sempre più accentuati accenti misogini che si espliciteranno poi in evidenti forme sessuofobiche. Oppure, al contrario, si può immaginare la formazione di una impostazione razionalista atta a ‘fermare’ un irrazionale vissuto come devastante (si veda quanto detto circa i Giganti), capace di riportare sulla terra il ‘caos originario’.

Forse, per capire questa dialettica, ci può aiutare la frase: “E venne il conflitto, apparentemente democratico, fra la ragione ed un irrazionale che finiva sempre per assumere l’aspetto e spesso l’identità della pazzia[118].

Che, tradotto in termini utili a questa ricerca, potrebbe significare che la razionale teologia sadocita del Patto [119] (l’uomo si salva se rispetta la Legge e le norme di purità, non c’è aspettativa di un messia redentore) e l’irrazionale teologia della Promessa (l’uomo è malvagio di natura, ma si salverà per la gratuita promessa fatta da Dio al ‘suo’ popolo tramite la casa di David, promessa su cui si fondano invece le aspettative messianiche) hanno dato origine al conflitto concettuale durato, in forme diverse, fino ad oggi.
O, più esattamente, fino alla definizione teorica della nascita umana di Massimo Fagioli, che afferma l’esistenza di un ‘inconscio originariamente sano’ e che permette perciò di concepire un irrazionale non soggetto alla necessità di controllo da parte di una ‘legge’ razionale.

Resta tuttavia irrisolta la visione del femminile in ambito sadocita/farisaico, ambivalente, forse, come si ricordava nelle prime righe di questa ricerca, ma che si rifiutò di accettare una derivazione della donna dalla ‘costola’ dell’uomo e, contemporaneamente, eliminò dalla propria ideologia il concetto di peccato originale. Quale che sia l’interpretazione di questa contraddizione, che evidentemente necessita di ulteriori approfondimenti, è comunque chiaro che lo scontro fra queste due tendenze ebbe una portata storica enorme: da qui si sono sviluppate infatti le correnti contrapposte che hanno attraversato, con vicissitudini ed interpolazioni diverse, tutta la successiva storia dell’umanità.
Se la consequenzialità storica tra la spiritualità enochica e spiritualità cristiana si può individuare con chiarezza e con chiarezza vedere la loro idea della donna, altrettanto chiaramente possiamo seguire l’altro filo: il pensiero che, nel corso del tempo e nelle sue diverse forme, si opponeva a questa negazione violenta della materialità e del femminile.
 

Quando la tradizione interpretava le azioni umane con gli strumenti concettuali del puro e dell’impuro, privi di giudizio etico, si confrontava con la nascita e lo sviluppo della morale (apocalittica prima e cristiana poi), cioè della distinzione fra Bene e Male legata ai temi del premio o della punizione eterni, in cui l’interpretazione della sessualità giocava un ruolo non secondario.
Quando i Farisei stilavano il precetto dell’onah che sanciva la legittimità, sociale e giuridica, della specifica sessualità femminile, si opponevano alla diffusione apocalittico-cristiana dell’esaltazione della verginità e del valore etico della castità.
Quando la mistica cabalistica si opponeva agli ambienti misogini della filosofia razionalista, affermava l’atto sessuale come ‘atto sacro’ contrastando una visione carica di disprezzo e di condanna moralistica.
E infine, grazie alla magnifica fantasia dell’anonimo ebreo spagnolo del X secolo, autore dell’Alfabeto di Ben Sira che riprese l’antico mito di Lilith fondendolo al racconto biblico della Creazione, fu disegnata l’immagine di una “prima” donna [120] non succube dell’uomo per naturalità d’origine: una donna che, non essendo coinvolta nella colpa e nell’espulsione dal giardino nell’Eden, era rimasta immortale, cioè eterna. Un Eterno Femminino che si contrapponeva all’immagine della donna ‘materna’ (e colpevole) chiamata Eva, ma soprattutto che si ergeva con tutta la sua carnalità di fronte all’altro ‘eterno’ della cultura dominante dell’epoca: l’anima immortale priva di corpo.

E’ proprio il richiamo a Lilith, immagine femminile della mitologia sumera, che sembra alla fine suggerire che il pensiero capace di ‘tenere’ il rapporto con la donna, fra mille ambiguità, ma senza farla sparire dal proprio panorama mentale, avesse misteriose capacità di resistere e di riapparire nel tempo, nonostante la violenza cui veniva sottoposto nell’arco dei secoli.

Da questa opposizione ebraica al pensiero apocalittico-cristiano infine derivò probabilmente, senza volerne negare i caratteri di originalità, anche il pensiero islamico [121] con la sua visione ‘sacra’ dell’atto sessuale. Il che ci porterebbe ad un confronto culturale di estrema attualità.

L’opposizione e la resistenza ebraica al cristianesimo, in ogni caso, non sono passate indenni, perché la cristianità ha dimostrato di avere memoria lunga: mille anni dopo l’iniziale predicazione dell’“ama il prossimo tuo[122] gli ebrei furono i primi a pagare con i primi stermini di massa la partenza dei crociati per la Terrasanta. E dopo altri mille anni contrassegnati da persecuzioni, violenze, conversioni forzate ed espulsioni, la filosofia, dopo aver gettato le basi del razzismo e della misoginia moderni affermando “…è proprio la ragione in senso kantiano, è proprio lo spirito, che soprattutto sembra mancare all’ebreo, all’ebreo come alla donna[123], virò verso il pensiero sostanzialmente cristiano [124] di Heidegger, che fornì il substrato teorico per rendere inesistenti altri milioni di ebrei; resi realmente nulla, fumo, in evidente continuità con i roghi della Santa Inquisizione che avevano incenerito anche il corpo di centinaia di migliaia, forse milioni, di donne.



NOTE

[1] Pilastro della cultura ebraica è lo studio delle Scritture, che è stato sostanzialmente riservato agli uomini fino a tempi recenti, attraverso la forma di considerare la donna “esente” dall’obbligo degli studi.
[2] David Biale, L’eros nell’ebraismo. Dai tempi biblici ai giorni nostri. Anche se è stato detto che “…tra gli ebrei la cultura era così amata che superava la differenza di sesso” (Rita Levi Montalcini in Wired  01/2009), è comunque indubbio che il femminile, in ogni suo aspetto, è stato sempre filtrato attraverso lo sguardo e la parola maschili.
[3] Cfr. la preghiera che ringrazia Dio perchè“…non mi hai fatto pagano, schiavo, donna”, A. Cohen, Il Talmud.
[4] A. Cohen, cit. Nello stesso testo si trova anche: “Si racconta di un uomo pio che sposò una donna pia. Non avendo avuto figli, divorziarono. L’uomo andò e sposò una donna malvagia che lo rese malvagio. La donna andò e sposò un uomo malvagio e lo rese giusto. Tutto, dunque, dipende dalla donna”.
[5] Ambito mistico dell’ebraismo.
[6] Relazione del Prof. Mauro Perani, Ebraismo e sessualità fino alla Lettera sulla Santità, Approfondimenti Culturali XXIII (Anno XV, N.1). Ampi stralci di questo lavoro sono stati ripresi in una mia intervista pubblicata su Quaderni Radicali n. 102 del novembre 2008, che riporto qui parzialmente.
[7] La Lettera sulla Santità, in G. Busi - E. Loewenthal, Mistica ebraica.
[8] Ma anche, secondo la lettura cabalistica, la parte femminile di Dio.
[9] G. Busi - E. Loewenthal, cit.
[10] C. Mopsik, Lettre sur la sainteté. La relation de l’homme avec sa femme, in M. Perani, cit. Che l’imago Dei si trovi solo nel maschio razionale è idea che troviamo anche in Cartesio (cfr. A. Ventura, I mostri della ragione : lo stalinismo, Il sogno della farfalla n. 4/2008)
[11] Henry Newbolt in una recensione a Sovranità e sacrificio. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno di G. Sacerdoti. In realtà “La questione della derivazione culturale di tale tendenza eterodossa (cioè soprattutto il pensiero di Uriel da Costa, Juan de Prado e Baruch Spinoza) è stata quanto mai dibattuta dalla storiografia (…) Yosef Kaplan… si riallaccia all’interpretazione di Carl Gebhardt, che aveva individuato nella tradizione marrana e nei conflitti irrisolti dei nuovi cristiani tornati all’ebraismo le radici dell’eterodossia, pur non respingendo le suggestioni (…) sulla genesi dell’eterodossia olandese nell’averroismo…”, A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione; in altre parole lo studioso citato dalla storica italiana individuava nei residui ideologici cristiani della mentalità marrana l’origine dell’eterodossia spinoziana, non riconducendo quindi “alla divergenza tra razionalismo e misticismo cabbalistico quella tra eterodossia e ortodossia…”, A. Foa, cit.; altri ancora fanno risalire il pensiero spinoziano alla teoria cabalistica delle emanazioni, a sua volta simile, per certi versi, al pensiero neoplatonico rielaborato dalla cultura islamica.
[12] Le caratteristiche di questo ambito religioso e culturale saranno chiarite più oltre.
[13] M. Perani, in Quaderni Radicali, cit.
[14] G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica.
[15] Cfr. il Convegno “Donna e ricerca scientifica”, III sessione del Meeting Internazionale “Le libertà delle donne in Europa e nel mediterraneo” (Foggia, 06.06.2003) e successivo dibattito, in cui Massimo Fagioli evidenzia l’assenza di sessuofobia nell’Islam come indicazione di un minor annullamento della donna rispetto al Cristianesimo.
[16] A. Bouhdiba, La sessualità nell’Islam.
[17] Commentarium in septem psalmos poenitentiales, in M. Perani, cit.
[18] Paolo di Tarso, Epistola ai Galati, 5, 19-24. Il concetto di “carne” in Paolo di Tarso è descritto nel Dizionario biblico (a cura di G. Miegge): "Essere carnale" in Romani 7, 14 è equivalente a schiavo del peccato; "vivere nella carne" (Galati 2, 20), "essere nella carne" (Romani 8,9), "camminare secondo la carne" (2 Corinzi 10, 2), non significano soltanto essere creature umane deboli e condizionate dalla propria natura, significano piuttosto essere guidati, ispirati, mossi dal peccato (…) La "carne" designa così la esistenza umana, la storia umana quale è diventata in seguito alla caduta ed al peccato, ed esprime la coscienza che questa realtà umana è tale a causa del suo allontanamento da Dio”.
[19] Lo Zohar o Libro dello Splendore fu la maggiore opera del misticismo cabalistico; redatta verso la fine del XIII secolo, si affermò poi come libro sacro non inferiore alla Bibbia o al Talmud.
[20] Moshe de Leon, Zohar, Wa Jesè, 101b.
[21] Moshe de Leon, Zohar, B’hibar’ham. B’Avraham, 91.
[22] I termini per uomo e donna in ebraico sono ish e ish-à, che in italiano suonerebbero come uomo e uom-a e che sembrerebbero alludere ad un concetto di “uguaglianza nella diversità”. Uomo e donna sono diversi l’uno dall’altro, ma ‘uguali’ in quanto appartenenti alla stessa specie umana. Il concetto di “uguale, ma diverso” come paradosso dell’incomprensibile rapporto uomo-donna è stato spesso citato dal Prof. Massimo Fagioli. Solo da Genesi, 4,1 in poi ha-‘adam (‘umanità’ in ugaritico), diventa il nome proprio dell’uomo e, da Genesi 3,20 Eva (dal sumero Awa o Ewe, Madre) quello della donna. Cfr. G. Semerano,  Le origini della cultura europea.
[23] “…il contesto più prossimo alle altre parole di Cristo, tratte da Genesi 2,24, è il cosiddetto secondo racconto della creazione dell’uomo (Gen 2,5-25), ma indirettamente è tutto il terzo capitolo della Genesi”, Giovanni Paolo II, Udienza Generale del 12.09.1979
[24] L’Ipotesi Documentale è lo studio e catalogazione della Bibbia che si propone di individuare i vari autori di singole parti, brani o frasi interpolate nel corpus biblico. La tradizione Jahwista viene fatta risalire al IX/X secolo a.C. (periodo monarchico), quella Elohista all’VIII (Regno di Israele), il Codice Deuteronomista al VII (Regno di Giuda), la Fonte Sacerdotale raccolse e compose il testo finale dopo il VI secolo. Il Regno di Israele e il Regno di Giuda, prima uniti, si separarono alla morte di re Salomone (933 a.C. c.ca) e si scontrarono poi ripetutamente. Furono travolti in tempi diversi da assiri (VIII sec. a.C.) e babilonesi (VI sec. a.C.).
[25]
Tema che ho approfondito in un testo specifico pubblicato in questo blog (Lilith: la prima Eva).
[26] "Il Talmud (che significa insegnamento, studio, discussione) è uno dei testi sacri dell'Ebraismo (...) che lo considera come Torah orale rivelata sul monte Sinai a Mosè e trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista romana. Il Talmud fu fissato per iscritto (I-V sec. d.C.) solo quando, con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, gli ebrei temettero che le basi religiose di Israele potessero sparire" (fonte Wikipedia).
[27] Ad esse mi riferisco anche nel mio articolo “La Legge e l’Orgasmo”, pubblicato in Quaderni Radicali n. 103 e riproposto anche in questo blog.
[28] Cioè “…obblighi connessi alle regole di impurità rituale che limitano la donna nel periodo mestruale. Si tratta di una concezione basata sul rifiuto del sangue, in un sistema globalmente diverso da quello cristiano che invece è centrato in larga parte sul rifiuto della sessualità”, A. Foa, cit.
[29] Talmud Babilonese, Mishnà Ketubot, 61b.
[30] A. Foa, cit. Per Avraham ben David (Rabad), mistico del XI secolo, l’uomo deve alla donna non soltanto il minimum previsto dalla legge, ma “tanto quanto ella desidera”, in D. Biale, cit.
Un’altra conferma nel film Yentl in cui la giovane moglie, dopo aver studiato il Talmud, si rivolge al “marito” (in realtà Barbra Streisand in panni maschili) e gli dice: “mi avevi detto che potevo respingerti, ma non mi avevi detto che potevo anche pretenderti”. Il film parla del chassidismo polacco del XIX secolo, una corrente pietistica dell'ebraismo orientale, decisamente misogina.
[31] Dino Fabbrini, Il matrimonio ebraico, Tesi di laurea, Università di Milano, Istituto di Diritto Canonico, 1998. Anche se fra ideologia e prassi quotidiana forse le cose non andavano proprio così.
[32] Deuteronomio, 24,5. Si può aggiungere che la donna che ritenesse non soddisfatto il precetto dell’onah da parte dell’uomo poteva ricorrere al rabbinato e pretendere il divorzio. E' opinione comune che il ripudio come diritto anche da parte femminile non esistesse in ambito giudaico e che il seguente passo del Vangelo di Marco (11-12) si riferisca al diritto matrimoniale romano, non a quello ebraico: “…Ed egli disse: Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”. La seconda parte del detto, che cita anche il ripudio femminile, non è però riportata negli altri Vangeli sinottici che conservano solo la frase riferita a quello maschile; essendo più tardi rispetto a quello di Marco, erano indubbiamente più vicini al mondo romano di quanto non lo fosse lo scritto marciano e questo solleva perciò qualche dubbio che la frase riferita al ripudio femminile fosse effettivamente relativa al diritto romano. 
Il matrimonio nell’ebraismo non è mai stato indissolubile come nella cristianità perchè è un contratto, non un sacramento; il divorzio quindi, in quanto risoluzione di un contratto, è sempre stato possibile, inizialmente come ripudio da parte dell’uomo, poi anche da parte femminile, benché burocraticamente più complicato. Cfr. D. Fabbrini, cit.
[33] D. Fabbrini, cit.
[34] Giuseppe Laras, L’amore nel pensiero ebraico. La donna avrebbe solo il diritto, non l’obbligo, di generare anche perché, secondo la normativa giudaica, nessuno può essere obbligato ad atti - come il parto - che possono provocare dolore o mettere in pericolo la vita del soggetto.
[35] Paolo Sacchi, Sacro/profano-impuro/puro nella Bibbia e dintorni.
[36] E. Riva, Pensiero ebraico.

[37] Levitico, 10,10
[38] P. Sacchi, cit.

[39] Giudici, 13, 22 in P. Sacchi, cit.
[40] P. Sacchi, cit.
[41] Levitico, 11
[42] Giovanni Deiana, Levitico. Spesso nei testi di cultura cristiana la parola ebraica tame’ che significa ”impuro” è tradotta con “immondo”, che contiene un significato più vicino a “sporco” o “disgustoso”, assente nell’idea di impurità rituale.
[43] I Sadociti erano sacerdoti della discendenza di Sadoq, Gran Sacerdote dei tempi di Salomone. Dopo la morte dell’ultimo Sadocita legittimo nel 170 a.C., Sadducei e Farisei, entrambi eredi del sadocitismo, rivaleggiarono a lungo nel tentativo di prendere la guida dell’ebraismo, pur facendo parte della stessa corrente ‘tradizionalista’. Le principali differenze teologiche consistevano nel credere ‘parola di Dio’ unicamente la Torah scritta (cioè il Pentateuco) come pensavano i primi, oppure anche la tradizione orale (poi raccolta nel Talmud) come affermavano i secondi. I Sadducei inoltre non credevano all’esistenza di un’anima immortale né alla resurrezione dei morti; nella tradizione i morti erano “larve” che scendevano, non giudicate, in una sorta di Ade, detto sheòl. Le tendenze apocalittiche, e poi quelle ellenizzanti, portarono infine ad una affermazione della credenza nell’immortalità dell’anima, che fu fatta propria anche dai Farisei. I Sadducei si dispersero con la distruzione del Tempio (70 d.C.) mentre i Farisei per la maggior parte dettero origine all’ebraismo rabbinico.
[44]
597-539 a.C. L'esilio delle èlite giudaiche termina con l'inizio della fase persiana del Vicino Oriente, da cui fra l’altro fu riportato un nuovo alfabeto, quello oggi conosciuto come ebraico biblico o “quadrato” che è in realtà l’acquisizione nella lingua ebraica dell’aramaico persiano (o di “corte”), la lingua franca del vicino oriente dell’epoca. L’ebraico originale (o proto ebraico) usava un alfabeto sostanzialmente identico a quello fenicio e fu utilizzato in seguito solo dalla corrente scismatica samaritana, forse quella più vicina alla lettera delle origini (Cfr. Ángel Sáenz-Badillos, Storia della lingua ebraica e Mireille Hadas-Lebel, Storia della lingua ebraica).
[45] Con questo termine si intende l’ebraismo del periodo compreso fra la ricostruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme dopo l’esilio babilonese e la sua distruzione ad opera dei Romani nel 70 d.C.
[46] P. Sacchi, in Archivio teologico torinese, V, 1999.
[47] P. Sacchi, L’apocalittica giudaica e la sua storia. Anche la datazione proposta è di Sacchi.
[48] Gabriele Boccaccini, Oltre l’ipotesi essenica. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo enochico.
[49] “Si tratta del frammento 4QEna pubblicato da J.T. Milik nel 1976”, P. Sacchi, cit.
[50] Nella tradizione il patriarca Mosè aveva ricevuto direttamente da Dio le Tavole della Legge, ma nell’enochismo si affermava che le Tavole Celesti le precedevano e le comprendevano. In sintesi non si riconosceva al Pentateuco di Mosè valore di Legge: l’enochismo reclamava un’origine precedente alla tradizione mosaica, origine che potrebbe essere confermata da un arcaico Libro di Noè, oggi perduto, ma di cui sono state evidenziate tracce, più o meno manomesse, all’interno del testo biblico e in quello enochico.
[51] L’apocalittica è stata definita “un’atmosfera” culturale e letteraria, in cui si possono trovare ideologie diverse (P. Sacchi, Il problema “apocalittica”, in Credereoggi, XIV, LXXX, 1994). Qui, per semplicità, uso ‘apocalittica’ intendendo con questo termine, non del tutto correttamente, la multiforme corrente che si oppose alla tradizione sadocita.
[52] P. Sacchi, Il problema “apocalittica”, cit.
Nel mito si racconta, interpretandola, una realtà inaccessibile all’indagine razionale (Cfr. Mircea Eliade, Il sacro e il profano).
[53] P. Sacchi, Sacro e profano, cit.
[54] Questo riferimento ai “giganti” potrebbe essere l’immagine di un irrazionale violento e distruttore a fronte di dei che ‘incarnano più spesso la misura e la ragione’ (cfr. S. Maggiorelli, La caduta dei giganti, in left n.11, 2009).
[55] Libro dei Vigilanti, 7
[56] Libro dei Vigilanti, XV-3,4.
[57] Libro dei Vigilanti, IX-4,10.
[58] E’ da notare che il peccato originale, ‘dimenticato’ dalla teologia enochica, era inesistente anche in quella Sacerdotale;  per un approfondimento cfr. anche "Mito o ideologia: il peccato originale" in questo blog.

[59] P. Sacchi, cit.
[60] Tradizionalmente il Messia era un condottiero, re o sacerdote, ‘unto’ da Dio, secondo la tradizione babilonese della ‘discesa’ della regalità dal cielo.
[61] P. Sacchi (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento.
[62] Nella versione dei Settanta (la traduzione della Bibbia in greco eseguita fra il III e il I secolo a.C.) il termine ebraico ‘almah, giovane donna, venne reso col greco parthènos, vergine (betulah in ebraico). “… dopo l’affermarsi (…) di un’esaltazione della verginità, considerata condizione più consona al rapporto con Dio, la versione dei Settanta venne riletta come una conferma del valore della verginità. In questo modo si andava compiendo un annullamento della realtà e dell'identità femminile, esaltata nella misura in cui veniva desessualizzata a favore dell’ideale di una condizione verginale…”, M. Perani, Quaderni Radicali, cit.
[63] P. Sacchi, cit.
[64] La comunità di Qumran era probabilmente un gruppo scismatico di origine essenica (o, secondo altri, enochica), praticava la castità ed era composta quasi esclusivamente da uomini. Le grotte contenenti papiri e frammenti, le cui prime scoperte casuali risalgono al 1947, furono sigillate attorno al 68/70 d.C. all’avvicinarsi delle Legioni romane.
[65] P. Sacchi, cit.
[66] Inni di Qumran, 1QH - Col.V (=XIII), 1-24, Inno di lode.
[67] Inni di Qumran, 1QH - Col. XII (=IV), 5-40, Preghiera nell’angoscia e fiducia in Dio.
[68] La Regola della Guerra (1QM).
[69] G. Boccaccini, cit.
[70] Il motto risale a Origene e Cipriano (Giacomo Canobbio, Nessuna salvezza fuori della Chiesa, Queriniana).
[71] Filoramo G., Menozzi D., Storia del Cristianesimo.
[72] Josef Van Ess, L’alba della teologia musulmana.
[73] Genesi, 5, 18-24
[74] La predicazione di Gesù, così come riportata dai Vangeli, sembrerebbe tutta interna a una forma mentis ebraico-essenica, o di corrente vicina: “Gesù non ha inteso fondare nessuna nuova religione. Era ed è rimasto ebreo”, C.Augias-M.Pesce, Inchiesta su Gesù. E’ con l’interpretazione di Paolo di Tarso di Incarnazione e Resurrezione e il suo rigetto della Legge mosaica, la separazione tra giudaismo e cristianesimo si fece radicale fino a una vera e propria condanna da parte di Giovanni del giudaismo che rifiutava la Rivelazione: “…il giudaismo, in quanto realtà cosmica, è tenebra che respinge la luce”, Filoramo G., Menozzi D., cit. Da qui venti secoli di antigiudaismo cristiano.
[75] Marco, 7, 15 e Matteo 15, 11.
[76] “Perciò come a caso di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte e così la morte dilagò su tutti gli uomini per il fatto che tutti peccarono” Paolo di Tarso, Lettera ai Romani 5, 12.
[77] Midrash, Qohelet Rabbah, cap. III, v.2.
[78] Ezechiele 18, 20.
[79] Giovanni Paolo II, Udienze Generali del 12 e 19 settembre 1979.
[80] Agostino affermerà invece che il rapporto sessuale avveniva anche nel Giardino, ma in una dimensione in cui la sessualità era controllata dalla volontà e regolata dalla ragione.
[81] Pelaja M., Scaraffia L., Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia.
[82] Paolo di Tarso, 1Timoteo 2, 14.
[83] Michel Théron, Piccola enciclopedia delle eresie cristiane. Sacchi contesta la traduzione proposta da questo autore, suggerendo “Adamo in quel tempo conosceva…” (corrispondenza privata), ma mi sembra di poter affermare che ciò non cambi la sostanza delle due visioni antitetiche sulla sessualità e sulla colpa.
[84] P. Sacchi, L’apocalittica giudaica e la sua storia.
[85] Si legga in particolare la relazione di M. Fagioli al congresso Amore Civile, organizzato dal Partito Radicale il 10 maggio 2008 e la sua intervista a Radio Radicale di pochi giorni precedente, riportate ne Il sogno della farfalla, n. 3/2008. Il riferimento è comunque all’intero corpus teorico di M. Fagioli.
[86] M. Fagioli, Il sogno della farfalla, cit.
[87] “…la sessualità viene considerata come un bisogno fisiologico, alla stregua dell’urinare: sono giovane, ho vent’anni, ho gli ormoni e devo scopare, devo eliminare questo sperma. Che poi diventa un problema soltanto maschile, nel senso che è l’uomo che si deve scaricare… non ci siamo proprio”, Massimo Fagioli intervistato da Paolo Izzo, Realtà mentale umana e sessualità: la vera rivoluzione, in Il sogno della farfalla n. 4/2005
[88] C’era chi si evirava, chi passava notti immerso nell’acqua gelida, chi si attorcigliava serpentelli attorno ai genitali, chi, infine, cedeva alla concupiscenza con qualsiasi essere vivente. Cfr. Quando la religione non era ancora noiosa. Eremiti, asceti, stiliti: le incredibili avventure e le divertenti imprese dei padri del deserto, H.C. Zander.
[89] P. Sacchi, cit

[90] Più pragmatico l’Islam: “Quando, in età mamelucca, al Cairo qualcuno sostenne di essere asceso al cielo e di aver visto e udito Dio, fu semplicemente rinchiuso in manicomio…”, J. Van Ess, L'alba della teologia musulmana.
[91] Pensiero peraltro già presente nella cultura babilonese. Il dibattito che nella tradizione ebraica si possa parlare di creatio ex-nihilo ha attraversato i secoli (Cfr. Laras, La natura nel pensiero ebraico: “Il discorso sistematico intorno alla creazione dal nulla è piuttosto tardo. Come dottrina, non è enunciata né nelle fonti bibliche né in quelle talmudiche”).
[92] G. Boccaccini, cit.
[93] G. Boccaccini, cit.
[94] G. Boccaccini, cit.
[95] E. Riva, Pensiero ebraico.
[96] L’influsso islamico sul pensiero ebraico medievale, in particolare nella Spagna islamizzata tra VIII e XIII secolo, è evidente prima di tutto in ambito strettamente teologico: gli aspetti antropomorfi di Dio vennero sostanzialmente ‘sfumati’ nella mistica ebraica, con qualche artificio dialettico, per poter affermare una sua “essenza” infinita e priva di qualsiasi figurazione, denominata “En Sof”, Colui che non ha fine, l’Infinito. Questa interpretazione del divino poneva dei problemi di contraddizione con la Torah perchè nel Libro erano ben presenti gli aspetti “umani” del Creatore, al punto che c’era stato chi aveva calcolato la lunghezza della sua barba o le dimensioni del collo; le caratteristiche antropomorfe non potevano perciò essere messe in discussione se non disconoscendo la verità della Scrittura. Esse furono perciò fatte “scivolare” concettualmente verso una dimensione di “manifestazione della Gloria Divina” mentre la sua “essenza” poteva essere interpretata come infinita e assolutamente priva di figura umana, pur rimanendo nei binari di una rigorosa ortodossia. “In ossequio al principio dell’assoluta incorporeità divina Saadyah Gaon (Maestro del X secolo) aveva riferito gli attributi e le descrizioni antropomorfe contenute nella Bibbia, non a Dio stesso, ma alla sua Gloria, che avrebbe quindi costituito l’aspetto luminoso e visibile della divinità”, Giulio Busi, La Qabbalah.
[97] Ricordiamo le parole di Michele Ciliberto a proposito di Giordano Bruno: “Come mettere in relazione il finito e l’infinito? Su questo punto Bruno ha le idee chiare fin dall’inizio nel dire che finito e infinito non entrano in relazione. Questo è il motivo per cui afferma che quella di Cristo è un’impostura, perché sostenere che in un finito, che è il corpo di un uomo, entri l’infinito che è Dio è una bestemmia”, M. Ciliberto, “L’ombra di Bruno: l’uomo tra finito e infinito” in Il sogno della farfalla, n. 2/2008, cit. Giordano Bruno riprenderà invece il concetto di ilemorfismo universale di Avicebron (Shlomo Ibn Gebirol), giudeo spagnolo del XI secolo, a lungo ritenuto arabo dai latini, e “…ne farà il presupposto del suo panteismo”, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia.
Il tentativo di risolvere la contraddizione tra Finito e Infinito produrrà anche nell’ebraismo cabalistico una nuova ideazione della Genesi che ipotizza una “contrazione” di Dio in se stesso al fine di creare una sorta di vuoto pneumatico in cui il creato potesse essere collocato.
[98] Mircea Eliade, Il Sacro e il Profano.
[99] Forse si può azzardare il pensiero che ci sono voluti quasi venti secoli perché la storia si ripetesse alla fine senza differenze degne di nota: fino a che cioè Schelling definisse l’inconscio Das Unbewusste, l’Inconoscibile (concetto sadocita) e Freud dichiarasse di aver affrontato ‘scientificamente’ l’inconscio umano e ratificasse che in esso esiste solo una perversione originaria, cioè un Male (concetto qumranico/cristiano). Cfr. M. Fagioli, Una logica terribile in left n. 29 del 18 luglio 2008.

[100] M. Fagioli in “L’ombra di Bruno: l’uomo tra finito e infinito”, Il sogno della farfalla, n. 2/2008, cit. Cfr. a questo proposito la nota 11.
[101] L’enochismo di fatto fondeva tratti di credenze diverse come l’angelologia di origine iranica o quella sulla sopravvivenza dell’anima di derivazione egizia che peraltro esisteva anche nello zoroastrismo persiano.
[102] Nel XVII secolo, comunque, Uriel da Costa pagò con la scomunica (cherem) dalla comunità di Amsterdam il suo voler dimostrare che questa era la verità delle scritture: “In libelli implacabili, che suscitarono clamore tra gli ebrei del tempo, volle dimostrare che (…) l’autentica tradizione ebraica non prevedeva alcuna dottrina della retribuzione ultraterrena né l’attesa di un Messia”, G. Busi, Il Sole 24 ore, 10.07.2005.
[103] P. Sacchi, Il problema “apocalittica”, pubblicato in Credereoggi, XIV, LXXX, 1994.
[104] “Nella cultura pre-cristiana del popolo ebraico non esisteva lo spirito senza il corpo; non esisteva l’anima da sola, ma l’anima vivente; e se si doveva parlare di anima la si qualifica con un’immagine che era corporea, quasi materiale: il respiro”, Padre Giuseppe Daminelli, cappellano della LUISS Guido Carli, in www.universitas2000.org/documenti/sussidi/2003_2004/vangelo_corporeità_bibbia.pdf. Qui non si fa alcun cenno alla corrente apocalittica evidentemente per reclamare al cristianesimo il primato di una visione ‘spirituale’ dell’uomo, ma è comunque importante valutare il concetto di giustizia retributiva, un principio teologico della religione ebraica: come il benessere e la felicità sono il premio che Dio assegna ai giusti, così la sofferenza è la punizione inflitta agli ingiusti e questo avviene non nell'aldilà, ma nella vita terrena (cfr. wikipedia alla voce ‘teodicea’). A questo concetto si oppone Giobbe nell’omonimo libro, nell’affermare la propria innocenza.
[105] Al contrario troviamo spesso, in particolare nel pensiero di sinistra, l’affermazione che va contrastato il potere temporale della Chiesa e dei Papi, mentre con cristianesimo delle origini si potrebbe trovare un terreno ideologico comune, esaltando, con Vendola e Bertinotti, il pensiero paolino. Nulla di più falso: questo pensiero rende inesistente la materialità dell’essere umano affermando che la sua verità risiede in una dimensione ultraterrena.
[106] A. Schwarz, La donna e l’amore al tempo dei miti.
[107] G. Laras, L’amore nel pensiero ebraico.
[108] G. Laras, cit.
[109] Senza negare naturalmente che anche nell’ebraismo ci furono ed esistono tuttora correnti sessuofobiche e fortemente misogine come il chassidismo del XVIII secolo o gli odierni Haredim, conosciuti per l’abbigliamento ottocentesco con giacche o grandi cappotti neri e cappelli a tesa larga, le cui donne si coprono i capelli con cappelli, foulard e, spesso, con parrucche. In questo ambito religioso ultraortodosso, fortunatamente minoritario, per la donna non c’è parità di sorta.
[110] Cfr. Eva Cantarella, L’amore è un dio. Il sesso e la polis.
[111] Datazione di mons. G. Ravasi.
[112] Datazione di mons. G. Ravasi.
[113] Datazione di P. Sacchi.
[114] G. Semerano, Le origini della cultura europea. Il testo completo del mito di Enki e Ninhursag si trova in Uomini e dèi della Mesopotamia, J. Bottéro, S. Kramer.
[115] Non è originale l’idea che l’uomo sia stato creato dall’argilla (mito sumero) né che sia fatto a immagine di Dio o che Dio abbia soffiato l’anima nelle narici umane (Insegnamento per Re Merikaré, X dinastia egizia XXII-XXI sec. a.C., Papiro Carlsberg, 6); non lo è il racconto di Mosè che riceve le tavole della Legge da Dio (alcuni studiosi affermano che nella mitologia babilonese fu il Dio Shamash a dare il Codice a re Hammurabi), così come non è originale il monoteismo (c’era stato il culto egizio di Aton, il disco solare, promosso dal faraone Akhenaton alla metà del XIV sec. a.C.), né il nome stesso del Dio ebraico: “Il nome Jahweh è noto in Egitto (…) è usato come (…) determinativo indicante Dio: è l’egiziano jahw- (splendore del sole, fulgore)”, G. Semerano, Le origini della cultura europea. Non lo è il nome Mosè (nome teoforico egizio), né, come abbiamo visto, l’idea di fondo (con tutte le differenze da considerare) del paradiso terrestre, della trasgressione e della punizione, che si trova anche nel mazdeismo, o quello del diluvio, con cui anche gli dei sumeri avevano voluto distruggere la fastidiosa umanità.
[116] “Chiamò i saggi, i sapienti, le sette e sette matrici. Sette fecero con arte degli uomini, sette fecero con arte delle donne” Atra-hasis, 249-264. E’ il racconto, risalente al XVII o XVIII sec. a.C., che descrive la creazione, nello stesso momento e con lo stesso atto, di sette coppie di maschi e di femmine da un impasto di argilla. Cfr. J.Bottéro, S.Kramer, cit.
[117] 1Enoch, Libro dei Vigilanti, XIX, 2.
[118] M. Fagioli, I giganti, left n. 50, 12.12.2008.
[119] Sono i nomi dati alle due tendenze teologiche che stanno a monte del pensiero sadocita ed enochico rispettivamente e che affondano le loro radici al tempo della separazione dei Regni. di Israele e di Giuda. Laddove si trova “Legge” bisogna sempre intendere il vocabolo come espressione del “Patto” con Dio, cioè con valore teocratico, ma anche con valore giuridico, senza dimenticare che poteva essere espressione della volontà persiana di controllo della parziale autonomia giudaica.
[120] L’idea di una possibile ‘prima donna’ era presente nel pensiero ebraico: già in commenti rabbinici del VIII e IX sec. d.C. (Genesi Rabbah) se ne ipotizzava l’esistenza anche se non veniva mai azzardato un nome.
[121] Quasi la metà della popolazione di Medina, in cui si rifugiò il Profeta fuggito dalla Mecca, era costituita da ebrei. Il teologo H. Zakharias, pseudonimo del domenicano Padre Théry, in De Moisé à Mohammed del 1955, affermò che l’Islam era solo il giudaismo postmessianico spiegato agli arabi da un rabbino; l’intento era di additare entrambe le religioni come dichiarate nemiche della cristianità. L’inopportunità politica di un’argomentazione apertamente antiebraica nel dopoguerra fece passare sotto silenzio queste tesi. Secondo Edouard-Marie Gallez, Le Messie et son prophète, alle origini dell’Islam si trovano invece le correnti giudaico-cristiane rimaste emarginate dal cristianesimo paolino. Sull’argomento cfr. anche Bernard Lewis, La rinascita islamica e Gli ebrei nel mondo islamico e Johan Bouman, Il Corano e gli ebrei.
[122] Frase di cui i cristiani si sono appropriati facendosi vanto di un pensiero innovativo, ma in realtà propria della tradizione ebraica: “Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto”, Levitico, 19, 34. originale pensiero cristiano è invece il comandamento di amare il proprio nemico (cfr. Matteo 5,44 ed altri) che effettivamente non ha precedenti né nella cultura giudaica né, tantomeno, in quella greco-romana.
[123] Otto Weininger, Sesso e carattere. Il filosofo austriaco, misogino e antisemita, era di origini ebraiche, ma di evidente pensiero mitteleuropeo.
[124] Livia Profeti “L’ombra di Heidegger sul Sinodo” in http://avancesdisegnalazioni.blogspot.com/ del 25.10.08. Si potrebbe, alla fine, sollevare il dubbio - o forse solo una provocazione culturale - che l’astio secolare della cristianità verso l’ebraismo potesse avere a che fare, in qualche modo, con la sua diversa visione della sessualità: “…agli albori del secolo la paura della sessualità femminile assunse aspetti ancora più inquietanti; associata ai selvaggi ed ai lascivi ebrei, la donna-vampiro minaccia la virilità ariana (…) metteva in contrapposizione il principio ordinatore e razionale maschile con quello ctonio femminile, distruttore e demoniaco, equiparato allo spirito giudaico nella forza corrosiva nei confronti della società”, Simonetta Chiappini, Folli, sonnambule, sartine. La voce femminile nell’Ottocento italiano.


giugno 2008


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Le trascrizioni delle Udienze Generali di Papa Giovanni Paolo II sono reperibili sul sito:
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La Sacra Bibbia, Ed. CEI, 1974. Una versione on line è reperibile all’indirizzo: www.laparola.net
Babylonian Talmud (Talmud Bavlì), The Soncino Press, London.



CHI SONO

Elena Bartolini, Teologa Ecumenica, Docente di Giudaismo presso il Centro Studi del Vicino Oriente di Milano, Direttrice della Collana ‘Studi Giudaici’, membro dell'Associazione Italiana Studi del Giudaismo.
David Biale, Docente di Storia Ebraica dell’Università della California.
Gabriele Boccaccini, Full Professor of Second Temple Judaism and Christian Origins, University of Michigan. Socio dell'Associazione Italiana Studi del Giudaismo.
Giulio Busi, direttore dell'Istituto di giudaistica della Frei Universität di Berlino. Socio dell'Associazione Italiana Studi del Giudaismo.

Massimo Fagioli, si è laureato all’Università di Roma in Medicina, si è poi specializzato in Neuropsichiatria ed ha fatto la prima esperienza manicomiale a Venezia; lavora successivamente all’ospedale psichiatrico di Padova dove organizza esperienze di psichiatria attiva con gruppi di malati; approfondisce la sua osservazione dei malati in Svizzera, nella clinica di Binswanger a Kreuzlingen, dedicandosi ad una esperienza di comunità terapeutica, convivendo notte e giorno con i malati senza mediazioni. Dopo una lunga analisi personale e circa dieci anni di esperienza di psicoanalisi individuale, propose nel 1971 agli ambienti scientifici il risultato delle sue esperienze e della sua formazione con "Istinto di morte e conoscenza". Dal 1975 Fagioli ha dato vita ai seminari di analisi collettiva sempre molto frequentati e ha continuato nel tempo a svolgere ed approfondire i postulati teorici del 1971 in una serie di altri scritti ed espressioni sia in ambito psichiatrico che in ambito artistico (da http://www.vertici.it/servizi/psicofinder/template.asp?cod=11171)  
Anna Foa, Professore associato, Università "La Sapienza", Roma. Socio dell'Associazione Italiana Studi del Giudaismo.
Giuseppe Laras, Presidente dell'Assemblea Rabbinica Italiana, è stato dal 1980 al 2005 Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Milano. Docente di Storia del Pensiero Ebraico nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano.
Charles Mopsik (1956-2003) autore di  numerosi testi su giudaismo e Qabbalah; biografia non disponibile.
Mauro Perani, Professore ordinario di Lingua e letteratura ebraica Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Sede di Ravenna, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Direttore del "Progetto Ghenizà italiana", Segretario dell'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG).
Paolo Sacchi, studioso di fama internazionale, già docente di ebraistica e filologia biblica all'Università di Torino, ha fondato la rivista "Henoch" di studi storico-filologici sull'ebraismo ed è Socio Onorario dell'Associazione Italiana Studi del Giudaismo.
Gerschom Scholem (Berlino, 1897 - Gerusalemme, 1982) laureato in lingue semitiche all'Università di Monaco, nel 1923 emigrò in Palestina, dove divenne capo del Dipartimento di Ebraico della Libreria Nazionale Ebraica. Dopo la nascita dello Stato di Israele fu presidente dell'Accademia nazionale delle Scienze. Nel 1965 ebbe il titolo di professor emeritus all'Università Ebraica.


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