07/09/10

La Legge e l'Orgasmo


Maria Soledad Vela non è diventata famosa nel mondo per la sua avvenenza di bella donna dai lunghi capelli biondi e dal sorriso solare...

ma piuttosto per la sua impegnativa attività di preparata e coscienziosa deputata del parlamento dell’Ecuador, membro della Commissione Diritti Fondamentali e Garanzie Costituzionali della Camera del paese sudamericano. Un impegno che l’ha portata a presentare, un anno fa, una proposta di legge finalizzata ad inserire nella Costituzione del suo paese un articolo che sancisse, una volta per tutte, il “diritto femminile all’appagamento sessuale”. 


Maria Soledad Vela
 Com’è facile immaginare la proposta ha provocato un grande scompiglio che ha coinvolto maggioranza e opposizione, organi di stampa, radio e televisioni, ecclesiastici e accademici, letterati e gente comune. Con sdegno o con sarcasmo, con serietà o ironia si è parlato a fondo della pretesa femminile in un paese che ha pur sempre delle robuste tradizioni cattoliche, dove, alle donne, spesso si offre solo la classica, scellerata alternativa culturale: o madonne o puttane.

Il corrispondente dal Sudamerica di BBC News, Daniel Schweimler, si è espresso con chiarezza: “Maria Soledad Vela, who is helping to rewrite the constitution, says women have traditionally been seen as mere sexual objects or child bearers”. La deputata afferma cioè che le donne del suo paese “sono tradizionalmente viste come meri oggetti sessuali o come pure e semplici fattrici di bambini”. Ed è andata avanti per la sua strada, nella sacrosanta battaglia per cambiare le cose, nonostante la sprezzante accusa di voler imporre un ridicolo “orgasmo per legge”, rivoltale da esponenti dell’opposizione. La notizia ha poi superato i confini nazionali e, attraverso i canali della BBC, ha raggiunto tutto il mondo. Anche l’organo di stampa dell’estrema sinistra italiana, Liberazione, ha ritenuto opportuno parlarne nel maggio dello scorso anno, affermando fra l’altro che “mai prima d'ora la magna charta di una nazione aveva inscritto questo diritto nei suoi dettami”.
 

In effetti la cosa, che a prima vista può sembrare una provocazione un po’ bizzarra, svela ad una lettura più attenta il suo carattere profondamente destabilizzante. Affermare il diritto femminile all’appagamento sessuale nasconde alcuni significati dirompenti, principalmente sul piano culturale, ma se ne possono ovviamente intuire le ampie ricadute sul piano sociale. Significa in primo luogo affermare - con tanto di crismi di legge - che la donna ha una sua specifica identità sessuale che non può in alcun modo essere confusa con l’idea, variamente declinata, di ‘soggetto passivo’ all’interno del rapporto. Come dice l’onorevole Vela, una donna non può essere vista come mero ‘oggetto sessuale’, idea che presuppone uno speculare ‘soggetto sessuale’ che sarebbe l’uomo. Affermare che la donna debba essere ‘soggetto’ tanto quanto l’uomo nell’ambito di un rapporto fra esseri umani uguali e, nello stesso tempo, diversi, è una proposizione che pretende di prendere decisamente le distanze della logica ben nota: l’uomo ha certe bisogni “naturali” che gli impongono di ‘liberarsi’. Bisogni da cui deriva un diritto al rapporto che suona come necessità fisiologica di scarica; quindi la donna ha il dovere di prestarsi ad essa scarica, necessaria per il sollievo maschile e indispensabile, quindi, per “l’armonia del rapporto”. Così i diritti e i doveri coniugali sono concepiti, più o meno esplicitamente, dalla nostra società.

Ricordiamo a questo proposito
un’intervista, molto chiara, di Paolo Izzo al Prof. Massimo Fagioli, pubblicata su Il sogno della farfalla n. 4/2005 “…la sessualità viene considerata come un bisogno fisiologico, alla stregua dell’urinare: sono giovane, ho vent’anni, ho gli ormoni e devo scopare, devo eliminare questo sperma. Che poi diventa un problema soltanto maschile, nel senso che è l’uomo che si deve scaricare… non ci siamo proprio”.

L’altra proposizione ricordata dalla deputata ecuadoregna è altrettanto violenta, sebbene in modo più sottile, e di indubbia attualità. Che la donna sia vista come pura ‘fattrice’ è una lettura che identifica totalmente la sua realtà umana con la capacità biologica di procreazione. In questa ottica è conseguente che la donna sia solo un banale apparato ‘meccanico’ riproduttivo.
Mentalità diffusa nella cultura cristiana, ma fatta propria anche da ideologie non immediatamente religiose, come ad esempio quella nazista. 


Fritz Lenz
 Si può leggere la struttura mentale dei gerarchi dell’epoca: "…ciò che si chiedeva alla donna in termini riproduttivi sarebbe soltanto grottesco se non fosse il frutto delle menti considerate allora più lucide e credibili. Ancora Fritz Lenz sosteneva che 'Si tratta di un fatto che la donna sia fisicamente in grado di procreare per un periodo medio di 30 anni. Considerando che la donna può generare soltanto una volta ogni due anni questo significa mettere al mondo 15 figli come minimo. Qualsiasi cifra inferiore a questa va considerata come la conseguenza di cause non naturali o patologiche'"(1).

Il puro e semplice automatismo di riproduzione, cui la donna è ridotta in questa logica, diventa ‘patologico’ se non funziona a dovere nei tempi e nei modi di una naturalità assolutamente animalesca.
Non stupisce quindi che nel 1939 “...il professor Wagner direttore della clinica femminile del prestigioso ospedale della Charité di Berlino e direttore della rivista ‘Archiv für Gynäkologie’ dichiarò che ‘lo stock nazionale di ovaie rappresenta una risorsa nazionale dello Stato tedesco’ ed invitava lo Stato a tutelare per legge questo ‘stock nazionale’. La donna, o meglio il suo corpo visto come elemento riproduttivo, non appartiene a se stessa ma allo Stato
(2). 

Non siamo poi così lontani dall’ideologia della Chiesa cattolica dove, al di là dell’idea di maternità traspare, in modo appena velato dall’ipocrisia della madre amorosa e spesso lacrimosa, il completo annullamento della stessa identità sessuale femminile. Le origini storiche di questa identificazione donna/madre sono più che note: basta leggere i numerosi testi della Prof.ssa Eva Cantarella in merito alla visione della donna nel mondo greco-romano per vedere come era in realtà ridotta alla bassa manovalanza di produrre figli per la gloria della Repubblica o dell’Impero; mentre i mariti preferivano giovinetti imberbi per realizzare la loro dimensione sessualmente ‘attiva’. 

Ma è con il Cristianesimo che la fusione concettuale maternità/verginità permette di gettare uno sguardo su scenari più profondi.
Le parole del Prof. Perani, che ho già riportate nel n. 102 di Quaderni Radicali (3),
sono estremamente chiare:“… dopo l’affermarsi (…) di un’esaltazione della verginità, considerata condizione più consona al rapporto con Dio, la versione dei Settanta (la traduzione in greco della Bibbia ebraica) venne riletta come una conferma del valore della verginità. In questo modo si andava compiendo un annullamento della realtà e dell'identità femminile, esaltata nella misura in cui veniva desessualizzata a favore dell’ideale di una condizione verginale (…) l'ideale di donna diventa la madre-vergine, quella 'pura' perchè non ha conosciuto uomo, il cui modello doveva essere la partenogenesi di una vergine fecondata direttamente dalla divinità”.

I due aspetti della donna nell’interpretazione cristiano-razionalista, la puttana da usare per la scarica fisiologica maschile e la madonna, vergine e madre, dell’idealizzazione asessuata, sono al centro della battaglia politica di Maria Soledad Vela che va quindi vista come uno scontro degno della massima attenzione e rispetto perché non tenta di scardinare banali pregiudizi di qualche uomo arrogante e un po’ misogino, ma pilastri culturali così profondamente radicati, purtroppo, nella mentalità comune. Mentalità che giustifica come naturalità la sopraffazione del maschio sulla femmina; i numerosi casi di violenza sulle donne ne sono la dimostrazione più evidente.
                                                                                 
Ma la Costituzione dell’Ecuador, nel caso la norma fosse approvata, non sarebbe affatto il primo sistema giuridico ad annoverare un simile articolo di legge. In un’altra cultura, quella ebraica del primo secolo dopo Cristo, si era fatto strada infatti un riconoscimento della sessualità femminile che sanciva una differenza importante, ma poco approfondita, di quella società rispetto a quelle ad essa contemporanee.

Di questa cultura diversa, quantomeno in alcune sue correnti, nei riguardi della sessualità, parla un interessante libro del Prof. David Biale, dell’Università di California, “L’eros nella Bibbia. Dai tempi biblici ai giorni nostri”, non nuovo (la versione italiana è del 2003), ma ricco di spunti di riflessione.
La storia ci racconta che negli anni contemporanei al primo affermarsi del cristianesimo, due esponenti di spicco del giudaismo farisaico, Hillel e Shammai, affrontarono il tema dei rapporti matrimoniali. Forse per cercare di arginare la tendenza all’astinenza sessuale degli studiosi israeliti, tradizionalmente impegnati nello studio delle Sacre Scritture a Gerusalemme o Babilonia per periodi di tempo anche molto lunghi e che per questo abbandonavano di fatto il talamo ed i rapporti coniugali. Questa almeno è una delle interpretazioni. 

Un’altra interpretazione, decisamente più seria e anche più interessante dal punto di vista storico, ci viene data dal rabbino Giuseppe Laras in “L’amore nel pensiero ebraico”: …nella concezione cristiana, è la negazione della dimensione sessuale ad essere vista come positiva (…) l’ebraismo combatte contro l’idea che astenersi dai rapporti sessuali porti alla purità (…) Storicamente la reazione ebraica alla concezione cristiana della sessualità e del peccato originale che ne è alla base, non consistette in una sua negazione diretta, ma sfociò piuttosto nella creazione di un apparato normativo diverso”.
Sembra chiaro che 'l’apparato normativo diverso' di cui si parla in questo testo, corrisponda al precetto talmudico che i due antichi sapienti avevano elaborato, cioè quel complesso di norme, chiamate onah, dall’indiscutibile valore halachico (vale a dire giuridico) che regolano i diritti e i doveri coniugali nei matrimoni ebraici, duemila anni fa come oggi. Nulla di nuovo si potrebbe obiettare; in fondo qualsiasi religione ha ritenuto di avere non solo il diritto, ma addirittura il dovere, di infilarsi nel letto di adulti, consapevoli e consenzienti, per stabilire che cosa essi potessero o non potessero fare.
 
Così nel Talmud, scrigno della legge e della tradizione, alla fine fu scritto, che: “Le volte prescritte dalla Torah per adempiere ai propri doveri coniugali sono: per un uomo che non lavora, tutti i giorni; per i manovali, due volte la settimana; per i conduttori di somari una volta la settimana; per i conduttori di cammelli una volta al mese; per i marinai una volta ogni sei mesi(4).


Conviene andare oltre una prima lettura superficiale, che ci potrebbe indurre a liquidare come ridicola e pretenziosa questa norma, per valutarne gli aspetti più latenti.
Contrariamente a quanto ci aspetteremmo infatti, la normativa giudaica sanciva inequivocabilmente il dovere maschile di dare soddisfazione alle donne. Una storica nota come Anna Foa ce ne dà conferma: “l’adempimento da parte del marito del debito coniugale, l’onah, è un obbligo rigoroso della vita matrimoniale…(5)

Si parla quindi, per indiscutibile deduzione logica, di un diritto femminile all’appagamento sessuale. Un diritto che non si concretizzava nella dimensione materna, ampiamente favorita anche nell’ebraismo, ma in assenza di precisi obblighi perché, secondo la normativa ebraica, nessuno può essere costretto ad atti, come il parto, che provocano dolore o pericolo per la vita del soggetto. Un diritto inoltre, per sgombrare il campo da equivoci, che valeva per ogni donna, indipendentemente dal suo stato di fertilità o meno. Nessun diritto maschile è al contrario affermato nella giurisdizione, come ci conferma uno studio specifico sul diritto matrimoniale ebraico (6).

E’ particolarmente interessante notare che il precetto talmudico aveva preso forma in funzione di una decisa opposizione ebraica al cristianesimo, che interpretava il sesso come impurità peccaminosa di per sé. Affermava cioè una visione profondamente diversa da quella cristiana, in cui l’essere umano era ritenuto elevarsi verso lo spirituale tanto più quanto più si allontanava dalla sessualità.
Non a caso Paolo di Tarso, alle origini della nuova religione, aveva scritto “…le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (…) quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri(7).
E, in parallelo con una visione radicalmente sessuofobica, l’immagine femminile ideale diventava quella asessuata della vergine madre. E’ esattamente contro questa ideologia che l’ebraismo rabbinico, a stento sopravvissuto alla distruzione romana e alla contemporanea scissione cristiana, si oppose con le armi culturali di cui disponeva. Se nel panorama religioso e culturale creatosi con la fusione tra logos greco e religione cristiana si può effettivamente parlare di una femminilità resa totalmente inesistente, bisogna invece riconoscere che nel mondo ebraico si era andata formando l’idea che la specifica identità sessuale femminile potesse e dovesse essere accettata e riconosciuta socialmente. In altre parole, che al delirio cristiano si poteva resistere.

I vecchi Hillel e Shammai, Maestri della Mishnà, avevano quindi anticipato la bella Soledad, deputata ecuadoregna, di ben venti secoli netti, anche se poi, purtroppo, la cristianità trionfante ebbe modo di imporre il suo punto di vista e, con esso, il silenzio assoluto sui corpi delle donne e degli uomini per i millenni a seguire, come abbiamo avuto modo di vedere anche in tempi recenti.
 

E forse è grazie alla resistenza ebraica se dopo una decina di secoli, negli ambiti cabalistici medievali, l’immagine femminile - desessualizzata dalla cristianità - conobbe uno dei suoi momenti più belli di sfrontata rinascita nel corpo splendente di Lilith, reinterpretata da un anonimo giudeo spagnolo in L’alfabeto di Ben Sira, come precedente ad Eva, quindi vera ‘prima’ donna, capace di andarsene sbattendo la porta dell’Eden quando Adamo pretese di obbligarla a stare solo “sotto” durante il rapporto sessuale in segno di supremazia e dominio maschile. Donna libera e autonoma quindi, coraggiosa e ribelle, nata diversa dal maschio, ma uguale a lui in quanto essere umano, insofferente ad ogni scala gerarchica di valori e, per questo, non assoggettabile né ai suoi voleri né ai voleri di un dio padre prevaricatore.
Immagine di un femminile che si ergeva in tutta la sua carnalità sessuata e irridente a fronte delle madri piangenti e degli ideali incorporei.


Lilith, Soledad: ogni mille anni spunta una speranza per le donne e per gli uomini. La speranza di un pensiero realmente ugualitario. Le occasioni per fondare una nuova umanità sembrano essere piuttosto rare; cerchiamo di non perdere l’ appuntamento quando, per caso, ne incontriamo una !






 


Pubblicato su Quaderni Radicali n. 103, luglio 2009


Note:

1) Giovanni De Martis, La "questione femminile" nella Germania nazista, pubblicato in www.olokaustos.org. Fritz Lenz era un genetista specializzato in "igiene razziale" e uno dei massimi ideologi della politica razziale del nazismo.
2) G. De Martis, ib.
3) Cfr. su questo blog "Rapporto uomo e donna nell'ebraismo antico e medievale", pubblicato anche in Quaderni Radicali n. 102. Mauro Perani è Professore ordinario di Ebraico, Codicologia e Paleografia Ebraica presso l'Università di Bologna, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali. Inoltre è Fondatore e direttore della collana "Quaderni di Materia giudaica",  Membro della European Association for Jewish Studies (EAJS), Segretario e membro del Consiglio Direttivo dell'Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG)
4) Talmud Babilonese, Mishnà Ketubot, 61b
5) A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione.
6) Dino Fabbrini, Il matrimonio ebraico, Tesi di laurea, Univ. di Milano, Istituto di diritto canonico.
7) Paolo di Tarso, Epistola ai Galati, 5, 19-24

Fonti:

http://www.youtube.com/watch?v=mLMkw1IRFAs    intervista televisiva a Maria Soledad Vela
http://asambleaconstituyente.gov.ec/mesas.do

Liberazione 25/05/2008:

Si chiama Maria Soledad Vela, è una deputata ecuadoriana vicina al presidente Morales e ha chiesto all'Assemblea costituente del suo paese che il diritto al piacere sessuale delle donne venga riconosciuto ufficialmente dalla prossima Costituzione. Mai prima d'ora la "carta magna" di una nazione aveva inscritto questo diritto nei suoi dettami, ma la signora Vela non sembra avere dubbi in proposito: «Garantire il diritto alla felicità sessuale per ogni donna è un modo per riconoscere loro la possibilità di prendere decisioni libere e responsabili sulla propria vita sessuale e per lottare meglio contro il ruolo di oggetti riproduttivi che storicamente le è stato assegnato dalla società in Ecuador». Come ha poi precisato la stessa deputata, la sua proposta rimarrà separata dalla sfera autonoma del diritto sessuale ecuadoriano.

http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/7382010.stm

Sex on Ecuador's political agenda
By Daniel Schweimler, South America correspondent, BBC News:

A woman from the governing party in Ecuador has proposed that a woman's right to enjoy sexual happiness should be enshrined in the country's law.Her suggestion has provoked a lively debate in conservative Ecuador. Maria Soledad Vela, who is helping to rewrite the constitution, says women have traditionally been seen as mere sexual objects or child bearers. Now, she says, women should have the right to make free, responsible and informed decisions about sex lives.
'Orgasm by law'
Ms Soledad Vela is a member of the governing party on the Constituent Assembly that is rewriting the country's constitution. Its aim, among other things, is to ensure a better distribution of wealth and rights for indigenous communities and the poor. Women, she believes, should not be left off that list. But her comments have provoked a lively response - mostly, unsurprisingly, from men. Opposition assembly member, Leonardo Viteri, accused her of trying to decree orgasm by law. Another called the proposal "ridiculous" and said that such an intimate topic should stay intimate and not be enshrined in law.
Ms Soledad Vela responded to the criticism, saying she had never requested the right to an orgasm - merely the right to enjoy sex in a free, fair and more open society. She explained that sex was a difficult subject to discuss in Ecuador and that what she wanted were clearer laws covering life, health and sexual education.


http://www.salon.com/mwt/broadsheet/2008/05/05/ecuador/

Politician fights for women's pleasure
An Ecuadorian politician recently set off a monsoon of machismo by reportedly attempting to write a woman's right to sexual satisfaction into the state's constitution. Maria Soledad Vela's pro-pleasure argument was called "ridiculous" and an attempt to "decree orgasm by law" by male lawmakers. A local newspaper spoke with a man who actually likened the legislation to "life in prison." (Surely, he's a bunch of fun in bed.) But, all she's asking for is required public health education that acknowledges women aren't unfeeling breeding machines. (¡Qué horrible!) Soledad Vela says she isn't demanding the right to an orgasm, but, as the BBC puts it, "merely the right to enjoy sex in a free, fair and more open society" -- and if that means greater orgasms, which it probably does, then so be it.
In conservative Ecuador, that's a dangerous political platform; and that's why, even though I realize it's only Monday, I'm nominating Maria Soledad Vela as Broadsheet's woman of the week.

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