21/09/10

Scritture e pensiero: tra Oriente e Occidente

Di fatto, anche se ancora non riusciamo a concepirlo, esiste un legame profondo ed estremamente chiaro fra lassenza della notazione vocalica e un certo rifiuto della raffigurazione, umana o divina che sia, propri della civiltà ebraica e musulmana. Qui infatti è il testo stesso, una volta privato di segni figurativi, a diventare immagine”...


Con queste parole una nota linguista e filologa francese, Clarisse Herrenschmidt (1), mette in evidenza una  problematica estremamente interessante che sembra aver segnato una differenza fondamentale tra Oriente e Occidente. Parole che sembrano però alquanto criptiche perchè connettono una caratteristica delle scritture semitiche (cananeo-fenicio, ebraico, aramaico, punico, amarico, siriaco, arabo), ma anche di quelle camito-semitiche come l’egizia, che usavano anch’esse una forma consonantica (abjad), con il rifiuto (sarebbe forse più corretto parlare di divieto religioso’) alla rappresentazione per immagini che è caratteristica dei monoteismi ebraico ed islamico, ma certamente non di altre culture.
Il nesso tra “assenza della notazione vocalica e “rifiuto della raffigurazione” non ci è perciò affatto chiaro, ma il concetto espresso è indubbiamente interessante e merita una riflessione.


Ci può aiutare nell’approfondimento un altro studioso di fama mondiale, Derrick De Kerckhove (2), che afferma: “la differenza maggiore fra la sequenzialità delle lettere greche e quella delle scritture semitiche sta nel fatto che, grazie alla presenza delle vocali, la scrittura greca ha carattere continuo, mentre la grafia fenicia, araba ed ebraica risulta intermittente. Dato che i suoni vocalici non vi sono rappresentati, il testo semitico va quasi 'indovinato'.


Per fare un esempio banale, se scriviamo “dimmi quella cosa” oppure "dammi quella casa” in scrittura vocalizzata il lettore capisce immediatamente di cosa si sta parlando, se di “cosa” o di “casa”. Ma se leggiamo la frase, in forma consonantica, “dmm qll cs” non sappiamo, alla visione immediata del testo, se si sta dicendo “dimmi quella cosa” oppure “dammi quella casa”. Lo dobbiamo capire dal contesto, dall'insieme del discorso, facendoci un'immagine mentale di cosa voglia effettivamente dire la frase letta. Un esempio un po’ più sofisticato ci dice che “...la sequenza consonantica ktb poteva significare sia kataba (lui scrisse) che kutiba (fu scritto)” (fonte Wikipedia). Da cui si capisce bene come le interpretazioni dei “testi sacri” semitici fossero quantomai problematiche e facilmente manipolabili. Sia l’ebraico che l’arabo utilizzarono perciò segni di vocalizzazione (puntini o trattini detti “diacritici” probabilmente introdotti verso il V o VI sec. d.C.), anche se nella pratica comune sono ormai ritenuti inutili e non vengono più usati.


Che cosa successe invece in Occidente ?
L’alfabeto fenicio, datato attorno all’ XI sec. a.C. e conosciuto in Occidente già da tempo, fu adottato dalla cultura greca solo attorno al IX secolo: “Le iscrizioni che utilizzano l’alfabeto greco di derivazione fenicia non compaiono fino all 800 a.C. circa. E questo un periodo di crescente influenza orientale nel mondo greco. Daltra parte però, ci sono alcuni aspetti del sistema di scrittura che sembrano suggerire che esso sia stato adottato dai greci in unepoca precedente” (3). Alcuni segni dell’alfabeto fenicio, che corrispondevano a suoni inesistenti nella lingua greca e che per questo non erano utilizzabili, furono inseriti nell’alfabeto - e quindi nella scrittura greca – a rappresentare le vocali.


Da qui si formarono poi le scritture occidentali moderne che utilizzano l’alfabeto latino e quello cirillico (glagolitico nella sua versione originale medievale) usato per scrivere le lingue slave e non slave fino ai possedimenti russi nel Caucaso e nell’Asia centro-orientale. Solo più recentemente l’alfabeto latino è stato adottato per scrivere la lingua turca e quella vietnamita, così come in alcuni paesi ex-sovietici, in sostituzione del cirillico.


Da questo percorso, sorprendentemente, lo studioso canadese deriva che occorre “...riconoscere il fatto che lapparizione dellalfabetico fonetico greco-romano ha favorito soprattutto in Occidente, la nascita di una nuova maniera di concepire il reale, la persona e la società”. Si dice cioè che l’affermarsi di un certo modo di scrivere, differente da quello semitico proveniente dall’oriente, ha favorito una mentalità nuova e diversa di “concepire il reale” che noi oggi definiamo “occidentale”, cioè - in sostanza - l’espressione del logos greco.


Il concetto viene ripetuto più avanti nella parte finale del suo intervento ad un convegno internazionale sulle “Origini della scrittura”: “...la scrittura, così, s’insedia letteralmente nel cervello, dove organizza le proprie abitudini mentali; queste ultime, che affiorano poi nel pensiero cosciente, non sono che prodotti di insiemi complessi e sintesi neurofisiologiche che si manifestano in una vera e propria psicologia dell'uomo-di-scrittura”.
Un certo modo di scrivere, insediandosi nel cervello, modificherebbe la mente e la psicologia dell’uomo. L’uomo occidentale avrebbe la sua specifica mentalità perchè ha iniziato ad usare l’alfabeto vocalizzato dei greci.


O forse, mi permetto di avanzare un dubbio, potrebbe essere vero il contrario: l’uomo occidentale ha modificato l’alfabeto fenicio, trasformandolo in quello che oggi conosciamo come ‘alfabeto greco’, perchè la sua mente era cambiata o stava cambiando. E’ una ricerca che può essere interessante cercare di sviluppare, proprio a partire da alcune illuminanti argomentazioni dello stesso studioso le cui conclusioni ho appena messo in dubbio.


Cominciamo intanto con il prendere atto di un fatto che apparentemente c’entra poco, ma che sarà chiarito più oltre e cioè che la scrittura greca degli inizi seguiva la direzione sinistrorsa (cioè da destra a sinistra) tipica delle scritture semitiche, poi, tra VII e VI secolo a.C., ne è stato invertito il senso di marcia: “I più antichi protoalfabeti potevano essere scritti in qualunque direzione: da destra a sinistra, da sinistra a destra o verticalmente. I fenici standardizzarono la direzione da destra a sinistra (la stessa dellalfabeto ebraico e arabo) prima del 1000 a.C. Alcune delle più antiche iscrizioni greche sono scritte da destra a sinistra, anche se progressivamente la direzione da sinistra a destra divenne la norma” (4).


Lo stesso è accaduto per il latino, in cui la direzione sinistrorsa: “…è utilizzata fino alla fine del VI sec. a.C., poi soppiantata da quella destrorsa(5), ma dove va chiarito che “è escluso che l’adozione destrorsa sia da collegarsi all’ambiente etrusco (…) sottolineando al contrario il significato in chiave ellenizzante di tale scelta(6).


Perfino l’etrusco, la prima lingua italica (di origini tuttora sconosciute, ma, sembra, non indoeuropee) ad utilizzare l’alfabeto greco, in cui entrambe le direzioni di scrittura sono attestate in tempi arcaici, dovette soccombere alla direzione imposta dal latino ed adeguarsi, poco prima di sparire definitivamente di scena all’inizio dell’età imperiale romana. In uno studio sull’iscrizione latina della “ Fibula Praenestina” leggiamo: “Sia l’iscrizione sia le lettere sono sinistrorse, cioè sono state scritte e si leggono da destra verso sinistra. La direzione della scrittura, non infrequente nelle iscrizioni latine arcaiche, dipenderebbe dal modello dell’etrusco. Verso la fine del VI secolo la scrittura latina, che fino ad allora era stata perlopiù sinistrorsa sebbene con varie eccezioni, cambia direzione e si rivolge verso destra, così come accade nello stesso periodo nel mondo greco. Contemporaneamente l’etrusco consolida la norma sinistrorsa, che anche per la scrittura di quella lingua aveva avuto nei secoli precedenti varie eccezioni. Si delineano così “due Italie” grafiche (…): una etrusca (e delle culture grafiche dipendenti dall’etrusco, come i Falisci, gli Umbri e i Sanniti), che scrive da destra a sinistra, l’altra greca, che scrive da sinistra a destra (comprendente i Latini e altri popoli dell’Italia meridionale). È interessante notare come la direzione della scrittura possa essere messa in relazione con ipotesi sulla lealtà linguistica delle comunità. Prendiamo ad esempio Falerii, città politicamente e culturalmente (ma non linguisticamente!) etrusca, in secolare lotta con Roma: l’abbracciare e soprattutto il mantenere una moda grafica etrusca si può vedere qui come una sorta di reazione antiromana, il che spiegherebbe anche il progressivo consolidarsi di questa moda col crescere parallelo dell’influenza romana su Falerii(7).


La direzione della scrittura, sinistrorsa per gli etruschi e destrorsa per i latini, assunse un significato politico-culturale di resistenza o, viceversa, di dominio. Mantenere la “moda grafica” etrusca prese il senso di reazione antiromana.


Qualcosa di simile accadde anche in India con il brāhmī, la matrice di molte scritture indiane e del sud-est asiatico, originata o influenzata dagli alfabeti semitici, che aveva andamento sinistrorso successivamente girato a destrorso. Destrorso era anche l'avestico.


Ma perchè nel mondo latino e, poco prima, in quello greco (ricordiamo “il significato in chiave ellenizzante di tale scelta”) si inizia a scrivere verso destra sostituendo la scrittura sinistrorsa utilizzata fino a lì ? Che cosa ha portato quei popoli, e solo loro fino a prova contraria, ad impegnarsi in un cambiamento, sicuramente poco agevole agli inizi, che non sembra avere finalità immediatamente utilizzabili né motivazioni evidenti ?


Approfondiamo questo inciso sulla direzione dello scrivere, che appare molto significativo; torniamo a De Kerckhove: “ La lateralizzazione della scrittura verso destra non è un fenomeno innato; esistono infatti centinaia di casi di scritture lateralizzate a sinistra (etrusco, ebraico, arabo) e persino verticali (maya, egizia, cinese). Lorientamento della scrittura dipende da ciò che risulta più impellente per aiutare il lettore a decifrare un testo”.


Il lettore ha l’esigenza di decifrare con immediatezza quello che legge e la scrittura deve aiutarlo in ciò. Quello che serve per aiutare la comprensione del testo deve essere attuato: questa è la finalità che sottende al cambiamento di direzione. Questo però non è stato valido per tutti. Come sappiamo arabi, ebrei ed altri popoli hanno continuato a scrivere verso sinistra senza mai sentire l’esigenza, per capire meglio il testo, di invertire il senso della scrittura. Nemmeno gli etruschi avevano sentito questa necessità ed hanno vissuto - e cercato di contrastare - l’imposizione della scrittura destrorsa come una violenza culturale; ma sono stati sconfitti. E la loro storia finì lì.


Perchè greci e latini ritennero invece impellente invertire la direzione dello scrivere “ per aiutare il lettore a decifrare un testo”?
Andiamo avanti, ancora con De Kerckhove: “ Per quanto riguarda la lettura, il contesto neuroanatomico  di riferimento pertinente è quello del chiasmo ottico. Nelluomo il campo visivo di ciascun occhio risulta diviso verticalmente in due parti uguali, ciascuna governata dallemisfero cerebrale opposto. Così, quanto viene visto dalle due parti destre di ciascun occhio è elaborato dall emisfero sinistro, mentre quanto viene visto dalle due parti sinistre è di competenza dell emisfero destro (...) secondo lopinione quasi unanime dei neurobiologi, lemisfero sinistro effettua unanalisi temporalizzata dei nessi e delle sequenze di gesti, oggetti e percezioni, mentre quello destro ha una percezione globale, unitaria e al limite già spazializzata del mondo…”.


Il chiasma ottico (…) è la sede del parziale incrocio (…) tra le fibre nervose costituenti i nervi ottici. Questi originano dagli occhi e si dirigono nellemisfero controlaterale rispetto allocchio dorigine(8). L’occhio ‘destro’ (sintetizzo così, per comodità, la più esatta dizione “i semicampi destri di ciascun occhio”) è collegato all’emisfero cerebrale sinistro e l’occhio ‘sinistro’ è collegato all’emisfero cerebrale destro. Queste cose sono note, ma le diverse attività cerebrali dei due emisferi, specificate dallo studioso canadese, meriterebbero un approfondimento; per il momento potrebbe essere sufficiente leggere che: “…le ricerche hanno messo in evidenza specializzazioni diverse tra gli emisferi, tutte con ruoli determinanti nella formazione dei processi cognitivi e del pensiero nel suo senso più generale. Sommariamente si può dire che l’emisfero sinistro, quello del linguaggio, è più specializzato per i processi sequenziali, serie di eventi che si susseguono nel tempo, come possono essere quelli della concatenazione logica del pensiero, mentre l’emisfero destro è più specializzato nell’elaborazione visiva o per immagini degli eventi, nella loro organizzazione spaziale oltre che nella loro interpretazione emotiva(9).


De Kerckhove prosegue: “…ciò è rilevantissimo per comprendere lorientamento delle scritture nei campi visivi dei due occhi. Ogni scrittura suggerisce allocchio le forme dei caratteri nonché la loro sequenza (...) Se (...) risulta assai più discriminante e comunque di maggior importanza lanalisi dettagliata delle forme rispetto a quella delle sequenze, la scrittura sarà verticale per privilegiare la focalizzazione foveale di entrambi gli occhi a scapito della visione periferica (...) Se invece è la sequenza delle lettere più che la loro forma a costituire il fattore critico della lettura (come appunto avviene nellalfabeto greco) sarà il campo visivo destro a essere favorito”.


L’occhio ‘destro’, che attiva l’emisfero cerebrale sinistro (quello più analitico, più matematico, più razionale), risulta essere il più adatto nel prendere rapporto con una scrittura fondata sulla sequenza delle lettere. Cioè con la scrittura vocalizzata dei greci.


A questo punto lo studioso si pone la domanda: “Se quanto detto fin qui è vero, perché la scrittura delle lingue semitiche si effettua da destra verso sinistra? Forse che qui la rilevazione della sequenzialità delle lettere non è importante quanto quella delle loro forme? In un certo senso è così (...) dato che i suoni vocalici non vi sono rappresentati, il testo semitico va quasi "indovinato"; qui è infatti il contesto a primeggiare, anziché il testo. Invece, presso i greci e i romani - e quindi anche per noi - la sequenzialità ininterrotta del testo scritto basta a se stessa. Ciò risulta vero al punto che la questione della lateralizzazione degli oggetti nei campi visivi potrebbe essere riassunta dallopposizione testo/contesto: se prevale il contesto, la rilevazione degli oggetti si effettuerà meglio nei semicampi visivi sinistri; se invece è la sequenza a prevalere, si realizzerà più facilmente in quelli destri”.


Se prevale il contesto sarà l’occhio ‘sinistro’ a prevalere e ad imporre la sua “impellenza”; e la prevalenza del ‘contesto’ avviene quando la scrittura, essendo discontinua e non specificata dalla vocalizzazione, pretende di essere “indovinata”.


C’è un nesso immediato tra “indovinare” un testo (e prendere cioè rapporto con le forme delle lettere) e l’attività dell’emisfero cerebrale “specializzato nell’elaborazione visiva o per immagini (...) nella loro interpretazione emotiva”. Un nesso cioè tra scrittura consonantica e immaginazione. Il che, ci sembra, debba presupporre che non sia stata perduta una aprioristica capacità di immaginare.


Torniamo alla frase un po’ criptica della Herrenschmidt: “ Qui infatti (nelle scritture consonantiche ebraico-islamiche) è il testo stesso (…) a diventare immagine” frase che ora, dopo quanto abbiamo detto, comincia ad avere un senso un po’ più chiaro; più chiara la connessione tra scritture consonantiche semitiche ed “immagini”, anche se continua a sfuggirci il nesso con il divieto religioso alla rappresentazione per immagini fatto dalla studiosa francese.


E naturalmente ci diventa più chiaro anche quello che si suppone sia avvenuto nel mondo greco-latino “se invece è la sequenza a prevalere, si realizzerà più facilmente in quelli (i semicampi) destri”. La rilevazione degli oggetti, cioè la comprensione del testo, si realizza più facilmente nell’“occhio destro” (e corrispondentemente nell’emisfero cerebrale sinistro) laddove prevale la sequenza ininterrotta delle lettere (consonanti e vocali) in cui non si deve “indovinare” niente perchè il testo basta a se stesso.


Bene; e adesso? Abbiamo due elementi chiari e definiti che differenziano le scritture ‘occidentali’ dalle scritture del Vicino Oriente: la vocalizzazione dell’alfabeto greco-latino contrapposta alla scrittura consonantica semitica e la direzione della scrittura, destrorsa nel primo caso e sinistrorsa nell’altro.


La prima caratteristica definisce il carattere continuo o discontinuo dello scritto e quindi il prevalere del ‘testo’ (sequenziale) oppure del ‘contesto’ (globale), mentre il secondo elemento mette in luce la prevalenza dell’occhio destro o di quello sinistro e quindi, rispettivamente, dell’emisfero sinistro o di quello destro.
Il carattere continuo, che basta a se stesso, si lega alla scrittura ‘verso destra’ e alla prevalenza dell’occhio destro, cioè dell’emisfero sinistro, specializzato nella “concatenazione logica del pensiero”. Il carattere discontinuo, da ‘indovinare’, si connette invece alla scrittura sinistrorsa e alla prevalenza dell’occhio sinistro, cioè dell’emisfero destro “specializzato nell’elaborazione per immagini”.


Cominciamo ad orientarci: il mondo greco-romano seguiva (preferiva?) una “concatenazione logica del pensiero”, mentre quello semitico una “elaborazione (...) per immagini (...) nella loro interpretazione emotiva”.


L’eurocentrismo della cultura dominante ha fatto il resto, affermando la superiorità dell’ alfabetizzazione greca; affermazione che deriva dalla logica per cui a una tappa nel cammino della scrittura seguirebbe un’elaborazione migliore e più evoluta. E' l' idea del 'progresso lineare' che suppone l'attuale come il punto d'arrivo più evoluto del percorso umano. Dal logo-sillabismo sumerico al sillabismo semitico, fino al ‘genio greco’ che avrebbe dato forma compiuta raggiungendo l’apice dell’evoluzione culturale: “è dunque l’alfabeto greco, il nostro alfabeto, a costituire il termine glorioso di questa ascesa della ragione (…) Ma l’idea dell’arrivo della scrittura alla sua perfezione con l’alfabeto greco non è nuova. Si trova già nel XVIII secolo in J.J. Rousseau(10).


Torniamo alla mia (immodesta) critica a De Kerckhove: è la scrittura vocalizzata e destrorsa, con le sue caratteristiche che abbiamo evidenziato, che “ha favorito (…) la nascita di una nuova maniera di concepire il reale” oppure è il nuovo modo di concepire il reale che ha causato la manipolazione della scrittura sinistrorsa di origine fenicia ?


E’ stato l’inserimento delle vocali e l’inversione del senso di scrittura a far affermare la concatenazione logica del pensiero nel mondo greco-romano o è stato piuttosto l’affermarsi progressivo del logos (che è “una nuova maniera di concepire il reale, la persona e la società”) che ha imposto (per il prevalere dell’emisfero sinistro?) l'inserimento delle vocali (probabilmente indispensabili per poter scrivere una lingua fortemente vocalizzata), ma poi anche (in conseguenza appunto dell' affermarsi di un testo continuo e sequenziale) l’inversione della direzione di scrittura?


Non possiamo non notare la corrispondenza cronologica tra la nascita del logos e l’epoca presunta del mutamento di direzione della scrittura: attorno al VI secolo a. C. Alcuni studiosi (11) affermano che l’alfabetizzazione della scrittura greca potrebbe essere stata adottata per scrivere l’epopea omerica, cioè per ‘registrare’ quella che fino ad allora era stata cultura tramandata solo oralmente. Per un uso narrativo, quindi, non per usi commerciali o contabili. L’inversione del senso della scrittura sarebbe però avvenuto dopo la fase ‘narrativa’ e ciò confermerebbe l’ipotesi di una connessione tra lateralizzazione destra della scrittura e razionalizzazione del pensiero, più che con la pura e semplice vocalizzazione.
E’ condivisibile, quindi, l’affermazione “la scrittura, così, sinsedia letteralmente nel cervello, dove organizza le proprie abitudini mentali” oppure dobbiamo pensare che, almeno all'inizio del processo, fosse vero il contrario ? Cioè che la scrittura greca fosse la conseguenza di un processo mentale che si andava affermando come logico e indipendente dalla capacità di immaginare (salvo poi, perchè no, contribuire a sua volta a determinare il perpetuarsi di abitudini mentali così formate).


Ne verrebbe fuori paradossalmente che un mondo apparentemente ricchissimo di immagini come quello greco e poi romano e poi ancora cristiano (la cui lingua sacra, non dimentichiamolo, è tuttora il latino) ed infine nella modernità di origine illuminista, sarebbe in realtà quello che ha reso inesistente la capacità di immaginare (non, evidentemente, la rappresentazione per immagini in sé); mentre quello semitico, in cui esiste  esplicitamente la proibizione alla rappresentazione per immagini, sarebbe in realtà proprio il mondo dove la capacità di immaginare potrebbe essersi salvata.
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Un approfondimento a parte meriterebbe la connessione diretta tra rappresentazione per immagini (nella loro realtà pittorica manifesta) ed il dogma cristiano dell’incarnazione: la lotta contro l’iconoclastia non si è conclusa con la legittimazione delle immagini in quanto fattore artistico o culturale, ma con la sconfitta degli oppositori alle immagini in quanto “eretici” del dogma cristologico, così definiti nel III Concilio di Nicea, VIII sec. d.C. La rappresentazione di Dio era legittima perchè Dio era stato “visto” nella sua carnalità umana. Ma questo ci porterebbe molto lontano introducendo concetti teologici e filosofici ed il rapporto tra la finitudine degli uomini e l’idea di infinito.
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La capacità di immaginare è stata “eliminata” nel mondo greco-latino in quanto superflua, inutile per l’apprendimento e la comprensione, un residuo del vecchio mondo dei miti, oppure perchè annullarla era parte fondante del processo stesso di formazione del nuovo modo di concepire il reale ?


E, viceversa, la capacità di immaginare non sarebbe stato forse elemento centrale nello scontro tra le correnti mistiche (si pensi al Sufismo o alla Qabbalah e al loro rapporto con il mondo onirico) e quelle filosofico-razionaliste di stampo aristotelico sia della cultura islamica che di quella ebraica ?


Insomma: razionalità occidentale versus irrazionalità semitica. Le modalità dello scrivere sembrano adattarsi alle rispettive modalità del pensare; si intuisce una precisa linea di demarcazione fra Occidente ed Oriente che corrisponde sia al ‘modo’ del pensiero che alla sua rappresentazione grafica, la scrittura.


A questo punto come possiamo esimerci dal cercare di approfondire il concetto di “capacità di immaginare” ?


Fantasia di sparizione è per la pulsione che è (e non diventa) simultaneamente capacità di immaginare perchè è fusa con la vitalità che, prima della luce, è possibilità di vita. La reazione alla luce della sostanza cerebrale che fa la pulsione di annullamento contro il mondo è immaginare. E il neonato è solo con la sua Vorstellungsvermögen (capacità di immaginare): ma non ho avuto mai dubbi sulla natura sociale dell’essere umano (…)” (12).


E’ la ‘teoria della nascita’ di Fagioli (13). Il pensiero umano nasce per la reazione biologica della sostanza cerebrale alla prima luce. E il feto non ha alcuna possibilità di sopravvivere se ‘viene alla luce’ prima di un arco di tempo corrispondente grossomodo alla 24^ settimana, quando si forma la rètina, cioè la possibilità della sostanza cerebrale di reagire alla luce (14). La possibilità di vita fisica si lega così indissolubilmente alla possibilità di vita psichica.


La pulsione di annullamento contro il mondo fisico insultante è simultaneamente la capacità di immaginare un ambiente intrauterino omeostatico. La capacità di immaginare è la psiche, il primo pensiero, che è pensiero per immagine; è la verità dell’essere umano che si distingue dagli animali per questa specifica qualità della sua nascita.


Allora potremmo ipotizzare che alle origini del pensiero occidentale troviamo una scrittura che è la rappresentazione visiva della perdita (annullamento? appiattimento?) della capacità di immaginare, cioè della verità della nascita umana. Il nuovo modo di concepire il reale, fondante il logos occidentale, che si “rappresenta” nella sequenzialità alfabetica vocalizzata e nel senso destrorso della scrittura, è realtà ‘non umana’ conseguente alla disumanizzazione dell’uomo per la perdita della sua originaria capacità di immaginare.


E, se riflettiamo ancora sulla frase “E il neonato è solo con la sua Vorstellungsvermögen (capacità di immaginare): ma non ho avuto mai dubbi sulla natura sociale dell’essere umano”, potremmo raccogliere il suggerimento implicito che se la capacità di immaginare è caratteristica propria di ogni essere umano, la sua naturale socialità si connette direttamente con quella personale capacità di immaginare che è verità della nascita umana. Potremmo cioè capire, come afferma Fagioli, che definire l'essere umano perverso o peccaminoso di natura è la conclusione cui può arrivare solo un’ ideologia che definisce l’umano unicamente per le capacità cognitivo-razionali, espellendo dall’umanità (per animalità o per peccaminosità) tutti coloro che ne sono ritenuti sprovvisti, cioè “altro” da sé: bambini, donne, barbari...
Non a caso sia l'ebraismo che l’Islam hanno sempre rifiutato l’idea prettamente cristiana di ‘peccato originale’ come ‘morte dell’anima’ (cfr. Mito e ideologia: il peccato originale’, in questo blog), cosa confermata dal fatto che un neonato cristiano viene ‘battezzato’, cioè sottoposto ad un rito di purificazione, mentre quelli di famiglia ebraica e islamica no. Al più, se sono maschi, vengono sottoposti alla circoncisione che non è un rito di purificazione.

...


Riassumiamo. La mentalità occidentale, fondata sulla razionalità greco-romana, manipolò l’alfabeto fenicio per adattarlo alle sue proprie necessità, conseguenti ad una precisa impostazione mentale.

La cultura semitica, lontana anni-luce dal mondo greco, mantenne le caratteristiche della scrittura delle origini fenicie, pur modificandone la grafia che prese via via le forme dell’aramaico “quadrato” per l’ebraico postesilico o quelle dell’aramaico nabateo corsivo per quanto riguarda l’arabo. Le altre scritture semitiche, come si sa, sparirono (con l’eccezione dell’etiopico, scrittura originata dalla lingua semitica dei sabei nordarabici, ma con influenze greche - quindi, non a caso, destrorsa - e del persiano che non è lingua semitica, ma che, con l’islamizzazione, ha adottato la scrittura sinistrorsa araba). Sparirono anche gli insediamenti punici (cioè fenici) nel Mediterraneo occidentale, travolti dall’ascesa di Roma.

Con i successori di Alessandro Magno si attuò l’ellenizzazione del mondo egiziano sotto i Tolomei e di quello mediorentale con i Seleucidi, con la contaminazione anche di parte delle élite ebraiche; la mentalità greca si insinuò nel Mediterraneo orientale. In Egitto nacque il copto (cioè la lingua egizia scritta con caratteri greci), in Giudea (che di lì a poco i romani avrebbero rinominato Palestina) le tendenze ellenizzanti impregnarono di sé le correnti apocalittiche, minoritarie nel mondo giudaico, per originare il Cristianesimo e il greco divenne la lingua dei Padri della Chiesa, solo più tardi sostituito dal latino. Di culturalmente semitico rimase poco: ebrei dispersi un po’ ovunque, tribù nomadi nella parte settentrionale della penisola arabica, regni arabi ed ebraici nell’arabia meridionale spesso in guerra con i sovrani cristianizzati dell’area etiopica. E cristianizzazione diffusa e vincente fino al soprassalto islamico che ribaltò la situazione politica, religiosa e culturale. La scrittura araba, divenuta “sacra” con il Corano, si diffuse ampiamente sia ad est che a ovest. La Spagna ommayade conobbe un breve, ma intenso periodo di esaltante sviluppo artistico e culturale in un’atmosfera di tollerante convivenza sociale fra ebrei, musulmani e cristiani.

Tra l’827 ed i primi del 900 d.C. gli arabi occuparono anche la Sicilia. Portandovi la loro scrittura consonantica e sinistrorsa. Poi, due secoli dopo, persero l’isola a favore dei Normanni venuti dal nord, che ne completarono l’occupazione nel 1091.

Nel 1230 i versi poetici della scuola siciliana cominciarono a risuonare, gettando le basi della lingua italiana, che era destrorsa e vocalizzata, naturalmente. Si dice infatti che l’italiano derivi dal latino. Tutti lo dicono. Tranne Massimo Fagioli che, nel corso di una lezione all’Università di Chieti (15), ha sviluppato un articolato pensiero sulla ribellione delle istanze irrazionali contro l’oppressione della cultura politico-religiosa dominante che parlava latino, in segno di continuità fra la Roma dei Cesari, il Sacro Romano Impero e la Chiesa cristiana.

In questa logica ha avanzato la provocatoria ipotesi che: “ …la lingua italiana si sia formata, non perchè figlia o derivata dal latino, ma contro il latino…”.
Affermazione non facile da sostenere e meno ancora da dimostrare. Ma anche affermazione - “formata contro il latino” - che richiama l'interessante “reazione antiromana” (anche grafica) delle città etrusche.


Naturalmente è una semplice assonanza, non c’è alcun collegamento linguistico diretto, che io sappia, tra Sicilia ed etruschi, ma qualcosa da approfondire forse c’è, sempre impostando la ricerca in termini linguistici. Potremmo ipotizzare, ad esempio, che l’arabizzazione della cultura siciliana medievale, certamente non annullata da Federico II cresciuto fra il popolino arabofono di Palermo, abbia potuto riattivare un sostrato linguistico fenicio, sopravvissuto alla dominazione culturale “occidentale” e capace di trasmettere un ‘modo semitico’ di comunicare dove “è il testo stesso (…) a diventare immagine”, nonostante l’uso manifestamente percepibile e ormai assodato di una forma vocalizzata e destrorsa, di origine certamente latina.


Ipotesi. Certo è che dal mondo giudeoarabo giungono in Sicilia temi e forme poetiche fino ad allora sconosciute o, quantomeno, non più praticate da quando la cristianità si era imposta. Temi che richiamano l’immagine femminile ed il rapporto con la donna nelle sue espressioni affettive più forti.


Come in questa poesia di Shelomo Ibn Gabirol (Avicebron): 

Che ha Avigail ? 
La mia anima han ghermito i suoi occhi, ghermito e abbandonato.
Chi la brama le dice che di un odio tenace ed eterno la odio!
E sia, se anche ha dimenticato il mio bene, 
io onorerò il mio patto
d'amore, non dimenticherò.
Alla sua casa mandò araldi il figlio di Iesse, 
ma io di persona vi andrò, 
araldi non voglio.
Se in tempo d'esilio a Dio più non si offron sacrifici
olocausti e sacrifici offrirò a questa donna !

Era un ebreo spagnolo dell’ XI sec., che Giordano Bruno leggeva e citava nei suoi scritti come “quel moro di Avicebron” perchè lo credeva ‘moro’, cioè arabo (e in effetti scriveva perlopiù in arabo). In questa poesia compaiono gli occhi fulminanti della giovane donna e il rapimento che coglie l’uomo al suo sguardo e, ancora, lo strazio dell’abbandono, tutti temi tipici della lirica poetica araba del tempo. La donna è protagonista, in tutta la sua carnalità, dell’ispirazione poetica. Se i sacrifici non si potevano più offrire a Dio, per via dell’esilio - e questo è tema prettamente giudaico - ora si può sacrificare alla donna, lei si può adorare. La donna, alla fine, ha sostituito Dio.



NOTE


1) C. Herrenschmidt, Scrittura, monetizzazione e rete informatica: invenzioni degli antichi, invenzioni dei moderni, in Origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, AAVV (a cura di G. Bocchi e M. Ceruti), Bruno Mondadori, 2002.
Per l'ebraico cfr. http://www.jewishencyclopedia.com/view_page.jsp?artid=1308&letter=A&pid=0
Per l'arabo cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Calligrafia_islamica
2) D. De Kerckhove, L'uomo "letterizzato", in Origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, cit. L'autore è anche membro del Comitato Scientifico del quotidiano Terra, organo dei Verdi italiani.
3) J. F. Healey, Le origini dell'alfabeto, la sua diffusione in Occidente e la nascita della scrittura araba, in Origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, cit.
4) J. F. Healey, cit.
5) P. Pensabene, Stella Falzone, Scavi del Palatino I, Ed. LErma di Bretschneider, Roma 2001.
6) ibidem, Colonna, 1980b.
7) L. Lorenzetti, I più antichi testi del latino, Corso magistrale di Glottologia, a.a. 2008-09, Università di Cassino
Per letrusco cfr. http://lila.sns.it/mnamon/index.php?page=Scrittura&id=10
8) fonte Wikipedia. 
9) L. Catastini, Neuroscienze, apprendimento e didattica della matematica, ricerca effettuata presso l’Università di Roma "Tor Vergata". Dal sito http://www.mat.uniroma2.it/LMM/BCD/SSIS/Neurosc/Indice.htm
10) Abderrazak Bannour, Il Mediterraneo vede, scrive, ascolta, Jaca Book.
11) B. Powell, Homer and the origin of the Greek alphabet, Cambridge University Press, 1991.
12) M. Fagioli, Vorstellungsvermögen, in left n. 31-32 del 11.08.2006. 
13) M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, L'asino d'oro, 2010, 12^ ed. 
14) Cfr. anche: M. Pettini, Una rosa a Fleming. Teorie scientifiche della natura e della realtà umana. Il sogno della farfalla n. 1/2009, Nuove Edizioni Romane. 
15) Università G. DAnnunzio di Chieti Pescara, Corso di Psicologia Dinamica, a.a. 2009-2010, Lez. III, 27 marzo 2010.
16) M. Fagioli, La fantasia è senza immagine, in left n. 19 del 13.05.2011.

settembre 2010

La versione definitiva di questo articolo è stata pubblicata su "Il sogno della farfalla" n. 4/2011, L'Asino d'oro Editore, Roma.



E Kafka diceva ancora: "Noi, il popolo ebreo, non siamo pittori, non sappiamo rappresentare le cose in modo statico; noi vediamo tutto in un flusso, un cambio permanente. Non siamo pittori, siamo narratori" (Nadine Shenkar)

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Gaetano Parmeggiani (in Lo scudo di Achille, Sellerio 2011) aggiunge qualche elemento alle mie considerazioni che sembrano confermare l'ipotesi di un collegamento fra direzione della scrittura, predominanza di un emisfero sull'altro e mondo 'mitico' o, al contrario, pensiero razionale: "Secondo lo psichiatra di Princeton (Julian Jaynes) l'umanità sarebbe passata in epoca protostorica da una fase di dominanza dell'emisfero cerebrale destro, deputato particolarmente alla sfera immaginativa, all'attuale prevalenza dell'emisfero sinistro, razionale (...) l'ipotesi di Jaynes, difficilmente verificabile ma suggestiva, spiegherebbe in modo soddisfacente la 'nascita degli dei' e l'importanza che veggenti o profeti (...) potevano rivestire nella società arcaica come tramite tra il mondo degli uomini e le potenze oscure della natura". 

Poi l’autore continua (p.  83): “…qualche sommaria osservazione sulle modifiche subìte dalla scrittura nel passaggio dall’area fenicia a quella ellenica (…) può gettare luce sulla differenza tra le due culture. Come è noto, la struttura linguistica semita è basata sulle radici (…) che graficamente si esprimono con le sole consonanti; l’assenza di vocalizzazione (introdotta tardivamente e solo per il testi biblico) permette innumerevoli estrapolazioni e straordinarie acrobazie esegetiche. ‘Al tiqre, ossia “non lettura”, è una delle tecniche ermeneutiche usate nella letteratura haggadica: il testo è qualcosa di vivo da cui possono rampollare significati mutevoli o addirittura opposti (nelle interminabili, sottili dispute talmudiche – pil-pulim – la pagina scritta è un terreno instabile su cui si affrontano le autorità rabbiniche). Introducendo le vocali, l’alfabeto greco (…) conferisce al dettato una fermezza che non consente, o riduce al minimo, gli sbandamenti interpretativi. Uno strumento duttile e preciso che aiuterà la ragione umana, da Parmenide a Wittgenstein, a indagare su se stessa e sul mondo”. 

Purtroppo l'autore, da buon razionalista, sembra tracciare con sicurezza un collegamento tra irrazionale, follia e pazzia, con pochi dubbi che nell'uomo possa esistere un irrazionale non pazzo, non malato.

La ragione umana infatti ha indagato su se stessa - cioè sulla ragione - e, prima di tutto, sul mondo naturale, ma ha perso completamente di vista l’inafferrabile e mutevole aspetto di tutto ciò che fa la realtà umana, le immagini, la fantasia, quel cangiante divenire della psiche su cui quello “strumento duttile e preciso” immancabilmente si spunta impotente. 

Bisognerà aspettare una intelligenza diversa, munita di un altro tipo di strumento cognitivo per poter affrontare il continuo movimento di ogni mente sana, a partire da quella radicale trasformazione della biologia provocata al momento della nascita dalla luce. E' la luce che attiva la mente: la fondamentale scoperta di Massimo Fagioli rende possibile affermare che la psiche deriva da una trasformazione della biologia specificamente umana. E con questo viene seppellita ogni ipotesi di esistenza di una intelligenza o volontà 'trascendente'. Ogni cultura religiosa. 


"La pulsione di annullamento è quella di un pensiero malato perché la realtà umana è caduta nella scissione tra materia e non materia che elimina il nesso tra realtà biologica e pensiero che diventa la parola spirito" (16)





maggio, 2011
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Per i tipi de L'Asino d'oro, è uscito un libro di Noemi Ghetti che indaga con passione "lo scontro sulla natura dell'amore e della poesia che oppone i due più grandi scrittori del Duecento, Guido Cavalcanti e Dante" e "che segna l'epilogo della ricerca nata con la rivolta dei poeti siciliani al latino della cultura ecclesiastica", per rivelarsi "decisivo per le sorti della letteratura e della lingua italiana."

Tutto ha inizio, racconta Noemi Ghetti, con la rivolta dei poeti siciliani al latino della cultura ecclesiastica, che rompe la corazza razionale di una lingua eletta dalla Chiesa a custode del logos occidentale, usata nei secoli per tramandare quel pensiero greco che da Aristotele a Platone, annullando completamente la donna, legava la conoscenza al rapporto di pederastia tra maestro e discepolo. Nei versi dei poeti della corte di Federico II l’immagine della donna riemerge invece sull’onda di una ricerca sulla natura e sull’origine dell’amore che trasforma il modo di immaginare e di scrivere, dando vita a una nuova lingua: l’italiano letterario.

(Da La “pantera profumata” e l’immagine di donna. Comunicato stampa della casa editrice)

 





febbraio 2011
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Interessante questo articolo:

Stiamo perdendo il corsivo, e al cervello non fa bene
Secondo uno psichiatra di Toronto scrivere e leggere parole vergate con quello stile stimola la mente e ci aiuta a capire e a esprimerci meglio, ma ci guadagna anche l’emotività.
di Alex Saragosa

 A scuola qualche decennio fa si imparava a scrivere riempiendo pagine e pagine di aste e cerchi, come primo passo per apprendere l'arte del corsivo, la scrittura veloce ed elegante in cui le lettere sono tutte legate l'una all'altra. Ai ragazzi di oggi che imparano a usare una tastiera prima ancora di andare a scuola, quel tipo di esercizi deve sembrare un'inutile tortura, tanto inutile che, secondo una ricerca condotta dall'Associazione nazionale dei pedagogisti clinici, la metà dei ragazzi italiani fra 14 e 19 anni ormai non riesce più a scrivere in corsivo. Ma forse l'abbandono della calligrafia avrà conseguenze. Lo psichiatra Norman Doidge dell'Università di Toronto ritiene che i movimenti fini che compie la mano nello scrivere in corsivo e quelli dell'occhio per interpretarlo, siano impegnativi quanto quelli che compiono i muscoli di lingua e bocca quando parliamo. Scrivere in corsivo, sostiene Doidge, stimola quindi il cervello molto più dello scrivere in stampatello o battere su dei tasti, e ci aiuta a raggiungere una maggiore comprensione del significato del testo e a esprimerci in modo più fluente. Alcuni moderni disturbi dell'apprendimento potrebbero essere dovuti proprio a questa mancanza di allenamento nello scrivere a mano. «L'abbandono della scrittura a mano porta a una scarnificazione del messaggio» ha detto Franco Frabboni, ordinario di pedagogia all'Università di Bologna, «lo vedo spesso nelle tesi dei miei studenti, povere, troppo brevi, dove la sintesi non è un pregio ma un'incapacità di sviluppare un pensiero».
E il corsivo, che è una scrittura personalizzata, sembra anche avere una valenza emozionale, di cui è privo l'anonimo stampatello.
Il neurologo Jason Barton, dell'Università della Columbia Britannica, ha scoperto infatti che, mentre la lettura di un testo a stampatello attiva solo l'emisfero sinistro del cervello, che decifra il significato delle parole, il corsivo attiva anche, nell'emisfero destro, l'area che impieghiamo per riconoscere i volti e associarli alle emozioni, «Il riconoscere la scrittura di una persona» dice Barton «fa riverberare nel cervello tutte le emozioni e i ricordi connessi a lei». Molto difficile che questo avvenga leggendo un sms o una mail...


il Venerdì di Repubblica, 03.12.2010





Comparazione ebraico quadrato - protoebraico - ebraico samaritano

Comparazione fenicio-greco

Da sinistra: Torah miniata, testo in ebraico 'quadrato' - Corano in arabo andaluso - Testo arabo in calligrafia cufica




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